Da sempre la guerra ha rappresentato un fattore di sviluppo per la tecnologia. E’ un fatto: disturbante, ma reale. Durante il secondo conflitto mondiale furono sviluppati su larga scala radar, computer, aerei a reazione…. Invenzioni belliche, che sono state poi trasportate con successo in ambito civile, come è avvenuto per internet e il gps.
Il conflitto in Ucraina è anche una guerra di tecnologie, come abbiamo visto con l’uso massiccio dei droni o i missili a guida satellitare. Internet è diventato anch’esso parte integrante del conflitto sia attraverso l’uso della propaganda (o della disinformazione), sia tramite la realizzazione di attacchi informatici contro infrastrutture militari o civili.
In quest’ultimo caso stiamo però assistendo a un fatto nuovo: la guerra nel cyberspazio non conosce infatti confini, e coinvolge anche persone che non appartengono direttamente agli Stati belligeranti. Per la prima volta, infatti, chiunque può partecipare direttamente al conflitto dal salotto di casa sua, realizzando azioni volte a danneggiare il “nemico”. Due giorni dopo l’invasione dell’Ucraina il vicepremier Mykhailo Fedorov ha lanciato un appello per la creazione di una “armata IT” per l’Ucraina, con l’obiettivo di lanciare attacchi informatici contro aziende e siti web russi. Ad oggi questa “armata virtuale“ ha coinvolto 250.000 persone da tutto il mondo.
La tecnologia, dunque, ha trasformato fin da subito questo conflitto in una guerra mondiale. Tecnologia, tuttavia, che ha reso anche universale la solidarietà, permettendo ad esempio di eseguire finte prenotazioni su Airbnb in Ucraina per sostenere la popolazione locale.
Se quindi, un tempo, i mass media hanno aiutato le persone a sentire vicino combattimenti che si svolgevano a migliaia di chilometri di distanza, oggi le nuove tecnologie permettono una partecipazione attiva ai conflitti. Un’evoluzione che è difficile da giudicare, e che presenta sia aspetti positivi (la solidarietà, la diffusione della conoscenza, l’aggiramento della censura), che accenti problematici (il sentirsi parte belligerante).
Oggi, dunque, la tecnica ci dice che nessuna guerra è unicamente un fatto “locale”. Lo scorso settembre, nel suo discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, così Papa Francesco ha spiegato quanto sta avvenendo: “I numerosi conflitti armati che sono in corso preoccupano seriamente. Ho detto che era una terza guerra mondiale “a pezzi”; oggi forse possiamo dire “totale””. Ed è anche per questo che occorre imparare a rifiutare quella tecnologia e quelle ricerche scientifiche che sono utilizzate “a fini di morte”. Un invito importante da parte del Pontefice, lanciato “per salvare la casa comune e la nostra vita insieme a quella delle generazioni future”.
Andrea Carobene