Una svolta. Di questo si tratta. La prima volta che una donna sarà Presidente del Consiglio in Italia.
Giorgia Meloni a Palazzo Chigi sarà una bella novità, a beneficio delle altre donne e di tutti gli italiani?
Molto dipenderà dallo stile di leadership che sceglierà.
Al momento, oltre al fatto che ha portato Fratelli d’Italia dal 4 al 26% nel giro di una legislatura, la storia e la campagna elettorale di Giorgia Meloni consegnano alcuni tratti inequivocabili. E non ci riferiamo solo ai contenuti e alle proposte politiche ultra conservatori e reazionari: dal blocco navale per fronteggiare gli sbarchi delle persone migranti, al primato del diritto nazionale su quello comunitario per svuotare l’Unione Europea dalla sua vocazione solidale di “casa comune”; dallo slogan “Dio, patria e famiglia” che ha avuto la sua fortuna nel ventennio fascista, all’esaltazione delle libertà individuali a scapito dei legami sociali (come non ricordare le posizioni di Giorgia Meloni su Green Pass e vaccini?). Su queste proposte gli italiani le hanno dato fiducia e i risultati elettorali vanno rispettati.
Veniamo al suo stile politico. Giorgia Meloni è espressione di un femminismo populista e nazionalista che tende a semplificare la realtà speculando sulle paure (reali) dei cittadini offrendo risposte scomposte, urlate e banali (quando anche irrealizzabili, come il blocco navale).
La cultura politica di cui è espressione ha una concezione inegualitaria e gerarchica degli esseri umani. Lei stessa, nella sua autobiografia, ricorda che nelle sezioni di destra in cui si è formata politicamente “vigeva il principio che tutti gli uomini di valore sono fratelli”. E il “valore” come lo misuriamo?
Giorgia Meloni si definisce “un soldato”, il linguaggio bellico è da lei preferito per descrivere le sue “battaglie” politiche. Per lei “il capo deve essere un capo, deve dimostrare che è il più forte, il più coraggioso”. Cita Margaret Thacher che leggeva una poesia di Charles Mackay, nei momenti difficili: “non hai nemici, dici? Se non ne hai, è infimo il lavoro che hai fatto”.
E se la leadership femminile non fosse necessariamente “contro” qualcuno, ma inclusiva e rispettosa delle diversità? Se fosse più collaborativa, capace di dialogare e mediare, proprio perché portatrice di una visione “altra” e differente, alternativa al dominante potere mascolino muscolare? Di donne manager che appena raggiungono posti di responsabilità incarnano uno stile di leadership peggiore di quello degli uomini ne conosciamo già altrove. In politica ce lo risparmieremo volentieri.
Oggi l’Italia volta pagina con una “donna sola al comando”. Dove sia la bellezza di questa novità è ancora da svelare.
Chiara Tintori