Spesso si dice che “il tempo medica le ferite”. Vero. Purtroppo, però, vale anche il contrario: col passare dei giorni, delle settimane, dei mesi, anche le tragedie del nostro tempo sbiadiscono nella memoria e nella coscienza collettiva.
Non è forse questo il caso della guerra in Ucraina? Tanti di noi si ricordano dov’erano e cosa stavano facendo quando vennero raggiunti dalla notizia dell’invasione del Paese da parte delle truppe russe. Proprio come l’11 settembre 2001.
Ma poi? Giornali e Tg hanno continuato a seguire sul campo le vicende belliche, più spesso limitandosi ad aggiornare il conteggio delle atrocità e dei morti, molto meno dedicandosi a documentare le ragioni profonde del conflitto o ad illustrare le possibilità (ma anche le difficoltà) per arrivare a qualche ipotesi di pace.
Il risultato è che, senza volerlo, ci stiamo abituando alla guerra. Papa Francesco non smette di intervenire per fermare il conflitto, tuttavia la sua appare sempre più la voce di chi grida nel deserto. Il deserto dell’indifferenza e delle convenienze geopolitiche.
Eppure, verrà il giorno in cui le armi taceranno. Quel giorno toccheremo con mano l’abisso di un conflitto che, in un solo anno, ha provocato non meno di 200 mila morti e prodotto danni materiali nell’ordine delle centinaia di miliardi. Ma, soprattutto, ha generato odio, una micidiale nube di tossine velenose che danzano ovunque e ottenebrano i cuori e le menti. Col rischio che, per tornare a parlarsi, il popolo ucraino e quello russo dovranno attendere che passino generazioni.
Questo tremendo conflitto, inoltre, ha rialzato muri che pensavamo essere definitivamente crollati. Sono tornati in auge linguaggi e mentalità da guerra fredda: un brusco salto all’indietro che ci rende tutti più vulnerabili. Davvero, come ha scritto qualcuno, oggi, a un anno dal fatidico 24 febbraio 2022, l’Occidente è più unito, ma anche più isolato; basta guardare i pronunciamenti dei leader di molti Paesi del Sud del mondo sul conflitto in atto.
Insomma: questa guerra non conviene davvero a nessuno. E sbaglia chi pensa che valga la pena continuarla solo per mettere a tacere definitivamente le mire imperialiste di Putin. Il problema esiste (chi lo nega?), ma è assai più complesso. E, davvero, più profonda sarà la ferita, più tempo ci vorrà per rimarginarla. E più fragile la cicatrice.
Gerolamo Fazzini