Nell’Italia postpandemica del Pnrr e del Governo che ha voluto un ministero alla Transizione energetica si punta a rispolverare le centrali a carbone: solo se e per quanto necessario, ma per i sette impianti sparsi per l’Italia non si esclude una riaccensione di massa nel caso (probabile) in cui non si troveranno abbastanza in fretta alternative al gas russo, oggetto di un (improbabile) stop.
Negli Stati Uniti a guida democratica in cui sembrano avverarsi diversi sogni di Donald Trump, l’ultimo riguarda lo shale oil e lo shale gas, gli idrocarburi estratti dalle rocce: gli Usa sono pronti a sostituire la Russia nel ruolo di grande fornitore d’energia, dunque via libera a nuovi investimenti su impianti estrattivi e oleodotti, con buona pace degli ambientalisti.
Due scenari paradossali, ma anche due segnali forti di quanto sia a rischio la conversione verde che sembrava finalmente aver tratto la spinta decisiva dal Covid, campanello d’allarme sulla sostenibilità del pianeta.
Poche settimane di guerra hanno già impoverito il mondo di alcune materie prime decisive, dai combustibili al grano, e il mondo che ne uscirà sarà più chiuso di quello che ci è entrato, dove gli scambi saranno più difficili e costosi. Gli impatti economici saranno dirompenti, perché di lungo periodo e capillari.
È uno dei tanti volti della brutalità di questa crisi, che non risparmierà nessuno. La casa comune rischia di pagare un prezzo che se non è il più alto sarà comunque quello definitivo, perché già prima si trovava sull’orlo del baratro. È un problema dell’Onu, della Commissione Europea, ma anche dell’Italia e dei nostri Comuni dove la pioggia di oggi è la prima, vera, degli ultimi quattro mesi.
Difficile guardare lontano quando si è alle prese con un’emergenza – e quella dei profughi è davvero tale, a differenza delle altre che lo erano solo per il nostro approccio – ma l’urgenza della questione ambientale non può esimerci dal trovare strade in cui tutto si tiene. Strade finalmente e realmente nuove.
Marco Ferrando