Sei elettori su dieci non sono andati alle urne, 30 punti percentuali in meno rispetto a 5 anni fa.
L’astensionismo porta con sè tante considerazioni.
È un problema di alleanze? Anche, ma forse non questa volta.
Di stile politico poco credibile, intrappolato tra beghe marginali e insulse schermaglie quotidiane? Probabile.
È un problema di leadership? Anche. Almeno perché negli ultimi dieci anni i candidati del centro-sinistra in Lombardia (Ambrosoli e Gori) sono stati paracadutati dall’alto e, una volta sconfitti, sono tornati ciascuno al proprio mestiere. Se non resti in Regione almeno cinque anni, a mangiare polvere, a fare il lavoro poco gratificante dell’opposizione, a farti conoscere nelle valli montane e nei paesini della Bassa, come fai a costruire un’alternativa credibile e a schiodare dai social i cittadini elettori?
Ad ascoltare alcune motivazioni di chi palesemente boicotta il voto verrebbe da concludere che la democrazia rappresentativa si stia rivelando, oggi in Italia, un modello inadeguato. “Votare non serve, perché tanto non cambia niente”. “Il mio voto non conta nulla”. “Sono tutti uguali”. “Se c’è qualcuno a cui interessano i miei problemi, non sono certo i politici. Loro non vogliono risolvere i miei problemi e quelli della gente come me…perché a loro non gliene frega niente”.
E se fosse questa la strategia ultima di un certo modo di fare politica?
Chi governa finge, o si arrabatta, di amministrare i problemi reali e quotidiani delle persone (sanità e trasporti fra tutti).
Che quello stile politico populista che specula sulle paure delle persone, che ricerca un nemico a tutti i costi, che alimenta “fatti alternativi” – leggere alla voce gestione della pandemia da parte della Giunta Fontana – porti inevitabilmente, alla lunga, i cittadini a isolarsi e a restare rintanati a casa (anche il giorno delle elezioni)? E se proprio quelle politiche che escludono, che creano cittadini di serie A e di serie B – leggere alla voce accesso a prestazioni sanitarie – a lungo andare scartano una parte di noi stessi, ci tagliano fuori?
Il voto non è più considerato qualcosa di utile per la propria vita, né per quella degli altri. E pensare che i padri e le madri costituenti ne hanno scritto come un diritto/dovere (art. 48)!
Più la polifonia delle crisi si intensifica e più le persone si illudono di partecipare alla vita sociale e politica a suon di like.
Prima che la democrazia elitaria metta radici profonde, prima che la fantapolitica abbia il sopravvento e qualche influencer milionario “scenda in campo”, proviamo a non dimenticare che la partecipazione elettorale e la libertà vanno a braccetto.
Chiara Tintori
Ci sono due temi che si intrecciano: da un lato l’astensione dall’altro la scarsa attrattività dei partiti.
E’ andato votare quasi esclusivamente chi è abbastanza vicino ai partiti esistenti. Il voto di opinione, il voto critico non si è espresso. O meglio ha preferito l’astensione all’espressione, quasi a significare che l’offerta e le risposte fossero inadeguate.
Conosco solo la mia regione, ossia la Lombardia, ma il cittadino aveva di fronte tre candidati alla presidenza inadeguati: è vero che la gestione pandemica di Fontana è stata negativa ma non abbiamo dato ai cittadini una reale alternativa. Moratti seppure fosse la più autorevole dei tre aveva di contro che non rappresentava una vera discontinuità. Majorino invece non era percepito come sufficientemente autorevole per guidare la principale regione italiana.
Ecco allora che in una sfida dove il candidato a presidente fa la differenza la partita è passata nelle mani dei partiti.
Qui sappiamo quanto già da tempo sia in corso una crisi di rappresentanza. Ecco allora che la partita finisce nelle mani delle persone convinte nel votare l’uno o l’altro partito (e meno male che ci sono almeno queste persone).
La partita vera del prossimo futuro è ricostruire un legame con gli elettori, sapere raccontare una prospettiva diversa del nostro paese, sapere ridisegnare anche i partiti nelle persone e nella capacità di elaborare proposte. L’unico modo per ritornare a fare politica è abbandonare lo status quo e sapere introdurre con pazienza una nuova narrativa, fatta di alti e bassi, capace di lasciarsi alle spalle vecchie logiche.
Questi meccanismi chiedono tempo, ma sono necessari per ricostruire credibilità.
La priorità di chi fa politica deve essere quella di curare una democrazia malata, più che difendere le proprie rendite.
Spero che questa consapevolezza, non si concretizzi solo con le parole e le dichiarazioni, bensì con la costruzione di nuovi percorsi. Probabilmente servono stimoli dal basso, servono spinte trasversali, serve la capacità di dare spazio a nuove letture. Ma la politica è anche questo, guardare oltre l’ostacolo per indurre a cambiamenti che diano prospettiva.