«Il gioco si è fatto duro, il pubblico aveva bisogno di sensazioni più forti. Dopo una fase di transizione (nuvole a forma di tetta) si è capito che in una società decadente anche l’erotismo esercita un fascino limitato. La merce più richiesta, più in linea con lo spirito dell’epoca, è lo spavento. Ed ecco le perturbazioni dai nomi ferali, Caronte, Apocalisse (in arrivo Godzilla, Polifemo e Putin), ecco l’annuncio ininterrotto dei picchi di caldo record – ogni giorno un nuovo picco – che stanno spingendo migliaia di italiani a fare testamento, mettendo in seria difficoltà gli studi notarili, che con il personale in ferie faticano a fare fronte alle richieste».
Ho scelto di cominciare questa breve riflessione estiva sull’informazione proponendovi qualche passaggio di una recente puntata di “Satira preventiva”, la rubrica che Michele Serra tiene sull’Espresso, nella quale l’ex direttore dell’indimenticabile “Cuore” si diverte a prendere in giro gli eccessi, a fini di audience, di taluni giornalisti pure in quello che dovrebbe essere un servizio pubblico tendenzialmente sobrio e veritiero: le previsioni del tempo.
Ma la tendenza a drammatizzare per colpire l’attenzione del telespettatore o del lettore non si limita alla meteorologia, ovviamente. Calcare i toni, assumere uno stile allarmistico-apocalittico, esagerare con gli aggettivi, forzare la comunicazione per suscitare emozioni forti: queste, oggi, sembrano spesso essere le regole non scritte di un certo modo di fare giornalismo, che non risparmia alcun ambito: dalla politica allo sport, dall’economia alla croanca. E via dicendo.
Per fortuna, c’è chi si muove in direzione ostinata e contraria. Mi ha molto colpito, l’1 agosto, leggere queste righe nella Newsletter “Whatever it Takes”, curata da Federico Fubini, vicedirettore del Corriere, giornalista misurato e stimabile proprio per la sua misura (oltre che per la sua competenza): «Confesso di essere rimasto colpito dalla quantità di lettori che hanno reagito lunedì scorso alla mia newsletter sul “ceto medio schiacciato” facendo sembrare ottimista persino uno come me. Chiedete un po’ ai miei colleghi quale sia la mia fama. Ma gli iscritti a “Whatever it Takes” sembrano colpiti da una tale ondata di cupezza sulle sorti del Paese e sul futuro dell’economia da risvegliare il bastian contrario che è in me. E se il nostro pessimismo non fosse che una sorta di miopia selettiva della mente, che offusca i contorni delle soluzioni e rende più nitidi e grandi solo i problemi? Per questo oggi, ultima newsletter prima della pausa estiva, vorrei concentrarmi su ciò che giornalisticamente sarebbe l’uomo che morde il cane: le ragioni, poco considerate, per cui certi problemi dell’economia italiana e internazionale potrebbero risolversi meglio di come crediamo». Vi risparmio la lettura integrale dell’interessante testo di Fubini, ma un passaggio vale ancora la pena di citarlo: «Credo che la lezione di quell’esperienza sia in una domanda, che cerco di porre a me stesso: quando tutto va male, c’è qualcosa che potrebbe rivelare degli spiragli se solo la notassimo? Con una guerra in Europa, l’inflazione ai massimi da 36 anni, una stretta monetaria che ha distrutto valore in dimensioni enormi sui mercati, una recessione tecnica negli Stati Uniti e l’incertezza che regna sulla direzione futura dell’Italia, è la domanda che va posta oggi».
Ora. Da convinto alfiere del “giornalismo civile” quale sono, non voglio cadere nella tentazione di contrapporre il giornalismo come denuncia al giornalismo “della speranza”. Non esiste l’uno senza l’altro. Pensiamo alla tastiera del pianoforte: i tasti bianchi rappresentano le 7 note, mentre quelli neri rimandano alle “alterazioni” (Diesis e Bemolle). Avessimo una tastiera di soli tasti bianchi perderemmo infinite sfumature e giochi musicali: lo stesso dicasi a parti invertite. Qual è il punto? Gli antichi direbbero: «Est modus in rebus». A dire: ci vuole equilibrio, moderazione, varietà. Un giornalismo “solo” concentrato sulla denuncia, sull’evidenziazione, per di più esasperata, dei mali e del male, conduce a un sentimento negativo generalizzato, rischia di sedimentare rassegnazione e disillusione. Per questo, è necessario che ci siano persone in grado di ricordarci gli “spiragli” di cui parla Fubini.
Definisco “giornalismo civile” quello che si sforza di rappresentare la realtà nella sua incredibile serie di sfumature, quello che batte sulla tastiera delle note, ma non dimentica diesis e bemolle. E credo ce ne sia tanto bisogno,mai come oggi.
Chiudo con un’altra citazione di Serra, non foss’altro perché strappa un sorriso. E così, ci salutiamo – in vista delle vacanze – col sorriso sulle labbra: «Messi di fronte a una stessa grandinata, aspiranti conduttori meteo, richiesti di descriverla, hanno dato luogo a una appassionante sfida. Il primo ha detto che i chicchi erano grandi come limoni, il secondo come meloni, il terzo come angurie, il quarto come la cupola del Brunelleschi. Ha vinto il quinto, dicendo che i chicchi di grandine erano grandi come pianeti, e forse erano proprio pianeti di un’altra galassia che stavano collassando sulla Terra».
GEROLAMO FAZZINI