Alla vigilia della Giornata delle Comunicazioni Sociali, che viene celebrata quest’anno domenica 29 maggio, propongo qualche riflessione che mi ha suscitato la lettura del bel libro curato da Marisa Musaio per Vita e Pensiero dal titolo “Ripartire dalla città – prossimità educativa e rigenerazione delle periferie”. Mi sono imbattuto in una citazione di Romano Guardini che mi pare di folgorante attualità. Ragionando della necessità di riappropriarsi del centro della propria esperienza quotidiana, Damiano Meregalli sottolinea la necessità di puntare sull’interiorità come possibilità di leggere ciò che ci accade per individuarne il senso e orientarne un’interpretazione che permetta di non cedere alla disperazione e al vuoto esistenziale o alla solitudine che dilaga nelle nostre città. Ed ecco la citazione di Romano Guardini nel delineare la possibilità di una nuova attenzione antropologica:
Un uomo che non viva continuamente in balia di quello che si presenta ma che abbia il coraggio di determinare, al suo interno, un ‘ritmo’ che gli permetta di non far “entrare tutto quello che batte alla porta dei sensi” ma “che sappia, invece, distinguere tra il bene e il male, fra ciò che è nobile e ciò che è ignobile, fra ciò che ha valore e ciò che non vale nulla, fra ciò che porta consapevolezza e ordine e ciò che crea soltanto confusione e trascina in basso” (R. Guardini, La coscienza, Brescia, Morcelliana , 1993, p. 58) verso i sobborghi dell’umanità. (Ripartire dalla città, p. 135)
Un richiamo che sembra quasi un vademecum su come affrontare in modo critico i social network e il flusso di informazioni che ci travolge ogni giorno: il non fare entrare tutto quello che batte alla porta dei sensi equivale alla capacità o alla fatica di pensare, di trattenere ciò che è utile o buono e lasciare scivolare via il resto. L’interiorità come luogo in cui sostare per non lasciarsi travolgere dalla superficialità di sensazioni che lasciano il vuoto dietro di sé. Le nostre giornate rischiano di essere piene di sensazioni e prive di interiorità e, forse proprio per questo, deludenti e disperate.
Fabio Pizzul