Giovedì c’è stato lo sciopero generale proclamato da CGIL e UIL contro la manovra finanziaria del Governo. Credo che sia stato lo sciopero generale meno percepito e comunicato della recente storia italiana. I disagi non sono mancati, soprattutto nei trasporti, ma non mi pare che ci sia stata da parte dell’opinione pubblica l’impressione che questa iniziativa possa aver spostato gli equilibri o indotto il Governo a qualche ripensamento. I media hanno ignorato o quasi lo sciopero e questo credo sia molto preoccupante, perché lo sciopero generale è la massima modalità di protesta dei sindacati. Non so se sia poi così vero, come han detto i leader di CGIL e UIL Landini e Bombardieri, che i promotori dello sciopero siano gli unici a dar voce ai fragili e agli esclusi, ma il tema di come far emergere il dissenso e promuovere il dialogo tra diverse posizioni oggi è molto importante. Siamo in una fase delicata in cui pare che basta che le cose funzionino per far sì che ogni dissenso sia mal sopportato. Non parlo di dissensi alla no-vax, che personalmente credo fuori da ogni logica, soprattutto se violenti e arroganti, ma della tendenza a considerare il pensiero unico economico-tecnocratico come unica misura possibile del reale e prospettiva per il nostro futuro. Se manca lo spazio per il confronto, il rischio di creare esclusione e rifiuti sociali è molto alto. La politica dovrebbe essere il luogo del confronto per eccellenza, ma da tempo sembra essere solo occasione di scontro e reciproca delegittimazione. Non c’è più voglia, o forse capacità di approfondire temi e confrontare posizioni diverse per arrivare a una sintesi. La scusa è, spesso, che manca il tempo di farlo. Allora è meglio passar subito allo scontro, in piazza o nei salotti televisivi. Chi ha la forza o i numeri per imporre la propria posizione ha anche la tentazione di sottrarsi al confronto, che diventa solo scocciatura o perdita di tempo. Ma allora, che senso hanno i luoghi del dibattito, primi fra tutti quelli istituzionali? Non è meglio un bell’algoritmo che ci indichi, con buona approssimazione, quello che può funzionare? In fin dei conti è quello che ci interessa, o no?
Domande apparentemente retoriche, ma che chi intende rappresentare i cittadini, sia sindacato piuttosto che partito, deve oggi porsele molto seriamente.
