Uscito nelle sale a fine ottobre, “C’è ancora domani”, il primo film che vede alla regia Paola Cortellesi, sta avendo un successo di pubblico che ha sorpreso tanti. Una delle particolarità del film è la scelta del bianco e nero. Scelta particolarmente felice, essendo ambientato nell’Italia del 1946, nel periodo immediatamente precedente il referendum del 2 e 3 giugno che, specie grazie al voto delle donne (recatesi alle urne nazionali per la prima volta!), sancì la fine della monarchia e l’inizio della repubblica.
In tanti si sono stupiti (anch’io sono fra questi) che “C’è ancora domani” sia il film italiano con l’incasso più alto dall’inizio della pandemia. Eppure – se lo si guarda senza la frenesia di giudicare dove un’attrice per la prima volta dietro la macchina da presa potrebbe sbagliare inquadratura o qualcosa d’altro – non è difficile individuare il motivo di una così calda accoglienza. Il film, infatti, incrocia, in modo originale e riuscito, due temi-chiave: il processo di emancipazione femminile e la partecipazione alla vita democratica. Due questioni che erano senz’altro cruciali nell’Italia del primo Dopoguerra, ma che – seppure in forme diverse – appaiono tuttora attualissime, in quanto non risolte. Il punto di saldatura dei due temi è, a mio parere, la bellissima frase della giornalista Anna Garofalo, citata dal film, che recita: “Stringiamo le schede come biglietti d’amore”.
Ebbene: sono uscito dal cinema con la percezione, più netta che mai, che, per la Delia del film e milioni di donne come lei, la possibilità di esprimersi col voto sia stata la prima forma di sana ribellione al maschilismo imperante. La Delia del film e le donne che, a milioni, affluirono alle urne nel ’46 hanno testimoniato che l’esercizio della democrazia è un privilegio e una responsabilità: dal momento che ti accorgi che anche tu puoi contribuire al bene comune del tuo paese, esprimendo una posizione politica, quale che sia, da quel momento non puoi tirarti indietro.
Fanno pensare le percentuali massicce dell’adesione al referendum del ’46, soprattutto se rapportate a quelle – esangui e allarmanti – di oggi. Alle ultime elezioni il Centrodestra ha sì vinto, ma c’è poco da esultare se si tiene presente che ha portato a casa il 26,7% non dei votanti, ma degli aventi diritto al voto (ovviamente lo stesso discorso vale per l’opposizione). Inevitabile la domanda: verrà di nuovo un tempo in cui torneremo a dire: “Stringiamo le schede come biglietti d’amore”?
Gerolamo Fazzini