Sono più di cento i comuni della Emilia-Romagna ancora minacciati dall’acqua dei fiumi esondati e dalle continue frane. Oltre 36mila sfollati e troppi morti. Una tragedia, un’emergenza affrontata con la straordinaria solidarietà dei volontari, romagnoli o italiani. In questi giorni a Cervia, Cesena, Gatteo Mare, Cesenatico e nei cento e passa comuni, ci sono giovani volontari che spalano il fango cantando “Romagna mia, Romagna in fior, tu sei la stella, tu sei l’amore. Quando ti penso vorrei tornare dalla mia bella al casolare”. Cantano la speranza, che non è mai un calcolo in più, e riscoprono il vero significato della parola sacrificio; cioè “farsi sacri”, per difendere e promuovere la vita della loro terra, della storia dell’Emilia-Romagna, dei romagnoli e di tutti gli italiani. Sono gli angeli del fango con le pale al posto delle ali. “Se io fossi un angelo – canta Lucio Dalla -, non starei mai nelle processioni nelle scatole dei presepi / sarei un buon angelo, parlerei con Dio gli ubbidirei amandolo a modo mio […] io so che gli angeli sono milioni di milioni e non li vedi nei cieli ma tra gli uomini /sono i più poveri presi tra le reti”. Le reti di una solidarietà che, insieme ai giovani, si è ramificata nelle strade allagate della Romagna.
Il canto degli angeli del fango tocca cuore e ragione. Ci dicono che un consumismo esasperato ci rende pagani e indifferenti all’armonia con un creato da rispettare. Se vuoi “dominarla” la natura si ribella. Per questo bisogna rispettarla con la saggezza dell’armonia che, da secoli, ci hanno insegnato le tribù pellerossa e dell’Amazzonia. Recentemente il cantante Bono degli U2 ha dichiarato che per superare il problema climatico sulla Terra saremo costretti ad imparare le regole di rispetto e armonia secolare delle tribù amazzoniche. C’è stato un cambiamento, credo un mutamento, non ancora avvertito nella sua vera tragedia. Un mutamento che segnala, nella sua brutale quotidianità, una memoria dimenticata che rende miopi, a volte cechi saccenti nella globalizzazione dell’indifferenza. Da troppo tempo i segnali sono visibili sulla terra come nel nostro Paese. Se le api stanno scomparendo, le lucciole sono già scomparse in Italia negli anni ’70 come denunciò in un suo dimenticato elzeviro del Corriere della sera Pier Paolo Pasolini. Non passa giorno che in televisione vediamo montagne di iceberg, ghiacciai, che si sciolgono velocemente e isole, sempre più gigantesche, di plastica che navigano indisturbate negli oceani della terra. L’emergenza va affrontata rapidamente con lungimiranza e, soprattutto, saggezza. Per la nostra cecità abbiamo bisogno di inforcare un paio di occhiali nuovi che sappiano vedere e, soprattutto, prevenire il prima e il dopo di una tragedia che si deve evitare. A parer mio “questi nuovi occhiali portano rispettivamente le lenti di Pasolini e di papa Francesco” (Lettere a Pasolini, Velar, p. 85).
Lenti che guardano al presente e al futuro, recuperando una memoria scomoda ma propositiva e, a suo modo, profetica. Scienziati e studiosi climatici da sempre hanno denunciato che l’Italia soffre di un fortissimo dissesto idrogeologico. Per questo nel 2016/17 si era creata l’Unità di missione sul dissesto idrogeologico per una Italia sicura che il governo in carica nel 2018 ha tolto e azzerato. Una pazzia che, nel tempo, è sfociata in una tragedia che si poteva evitare o affrontare senza conseguenze così catastrofiche. Chiudo la rabbia in parentesi ma, per il rispetto dei morti e degli sfollati di questa tragedia, chiedo il perché di quella pazzia. Gli angeli del fango, e non solo, ci dicono che l’emergenza ha bisogno di ripristinare quell’Unità di missione per il presente e il futuro della Emilia-Romagna, della nostra Italia e del pianeta terra. L’Unità di missione sarà l’indispensabile termometro per iniziare a costruire una economia diversa, un autentico progresso che allarga le braccia alla qualità a discapito della mostruosa rapina della quantità.
Silvio Mengotto