A parole gli amministratori locali sono la punta di diamante del Pd, ma nei fatti…
L’impressione di un partito ormai legato all’enunciazione di principi difficilmente non condivisibili e molto lontano dalla concretezza amministrativa e dalla capacità di elaborare proposte praticabili si va facendo largo sempre più dopo “l’estate militante” lanciata dalla segretaria Elly Schlein.
Alla Festa de l’Unità di Milano è toccato al sindaco Sala sottolineare come la politica milanese non sia stata mai valorizzata dai vertici romani (fatto salvo il meccanismo della cooptazione di alcuni suoi rappresentanti).
Dalla Brianza arriva una lettera aperta di una trentina di amministratori locali che esprimono perplessità sull’ipotesi che il PD sostenga la candidatura di Marco Cappato nelle suppletive di ottobre che dovranno scegliere il successore di Silvio Berlusconi al Senato.
Si moltiplicano i malumori per la modalità centralista di gestione di un partito che sta, tra l’altro, continuando a perdere pezzi, si pensi alla fuoriuscita di 30 esponenti liguri approdati alla corte di Calenda.
Quanto contano, allora, i territori nel PD di Elly Schlein?
Il timore che i congressi locali, fissati per il 1° ottobre, potessero dividere il partito e rappresentare una sorta di rivincita delle primarie nazionali ha indotto in molte province e nella stessa regione Lombardia a optare per una soluzione unitaria, all’insegna non tanto di un inutile unanimismo, quanto della consapevolezza che il Partito Democratico deve dare spazio alle diverse sensibilità per essere davvero capace di rappresentare la composita e articolate realtà che per comodità definiamo “centrosinistra”. L’unitarietà non è un cedimento di una parte alla linea nazionale, è il tentativo di costruire un cammino comune originale.
E’ quanto afferma nei suoi interventi anche la segretaria Schlein, quando invoca la necessità di garantire pluralismo e di avere un partito capace di raccogliere le istanze dei tanti che non hanno votato la destra oggi al governo. Queste affermazioni non possono però rimanere slogan utili ad acchiappare applausi alle feste: la preoccupazione di tenere assieme il partito e di non trasformarlo in un movimento di sinistra deve trasformarsi in capacità di ascoltare e valorizzare amministratori locali, territori e diverse culture che sono la forza e non la debolezza del PD.
Affermazioni come quella che ha accompagnato l’uscita degli esponenti liguri (“Evidentemente avevano sbagliato prima”) e metodo fin qui utilizzato per arrivare alla scelta del candidato/a alle suppletive di Monza non mi pare vadano in questa direzione.
D’altronde, un tirocinio è necessario per tutti e, dopo “l’estate militante” spero possa esserci un più costruttivo “autunno progettuale” per un PD che possa vivere il “radicalismo dolce” evocato da Prodi a Cesena a fin luglio: essere radicale nei valori (non solo sui diritti) e riformista nel metodo.
Gli uni senza l’altro non portano lontano, rischiano di fermarsi al populismo o, al più, al settarismo.
Fabio Pizzul