Si dice che perseverare è diabolico quando si è già sbagliato, ma in alcuni casi sarebbe meglio dire che è ideologico. Questo pare l’atteggiamento di Regione Lombardia nell’insistere ad inserire in diversi provvedimenti a favore soprattutto dei più fragili il criterio di 5 o, in alcuni casi, 10 anni di residenza in regione per poter anche solo presentare la domanda.
Il Tribunale di Milano, con sentenza firmata dal giudice Caroleo, ha dichiarato discriminatorio proprio il requisito dei 5 anni di residenza per l’accesso al Bonus assistenti familiari.
Regione deve ora modificare le regole del bando e riaprirlo per consentire anche a coloro che erano stati ingiustamente esclusi di poter presentare la domanda.
La decisione del giudice arriva dopo l’istanza presentata da ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e Avvocati per Niente, che avevano contestato il requisito quinquennale in quanto non solo danneggia proporzionalmente di più i cittadini stranieri (che hanno una mobilità territoriale più elevata) ma è irragionevole perché rischia di escludere famiglie residenti in Lombardia comunque bisognose.
Il problema, come sottolinea giustamente l’avvocato Alberto Guariso, è che è almeno la quinta volta in pochi anni che Regione Lombardia viene costretta a cambiare il requisito della residenza, ma puntualmente questo viene reinserito in molti provvedimenti e, se questi non vengono impugnati, quella che il Tribunale definisce discriminazione viene ideologicamente mantenuta contro ogni logica e, a questo punto, ogni regola.
Per anni le opposizioni, e segnatamente il Partito Democratico, hanno fatto notare questa incongruenza riguardo diversi provvedimenti, dal Bonus assistenti familiari al Bonus nidi, dalla Dote sport al Bonus alloggi, ma la risposta della maggioranza è sempre stata la stessa: lo prevede la legge e non si possono cambiare i criteri attraverso il regolamento dei singoli bandi. Peccato che ogni tentativo di modifica delle leggi in questione sia stato puntualmente respinto da parte della stessa maggioranza, nonostante le diverse sentenze che hanno visto soccombere Regione Lombardia.
Ecco perché, in questo caso, non si può più parlare di errore, ma si configura una perseveranza diabolicamente ideologica.
Fabio Pizzul