Era tutto già scritto, in modo chiaro e avrebbe dovuto preoccuparci non poco. E l’autrice aveva pagato anche il prezzo massimo per quelle parole di avvertimento all’Europa e segnatamente alla nostra nazione. Anna Politkovskaja è stata assassinata a Mosca nel 2006. Due anni prima aveva pubblicato “La Russia di Putin”; un libro che “parla di un argomento che non è molto in voga in Occidente: parla di Putin senza toni ammirati”, si legge nell’introduzione.
In questi giorni ci siamo esercitati in sedute di psicologia a distanza per provare ad entrare nella testa di quello che –adesso- riconosciamo come macellaio, autocrate, ricostitutore dell’impero sovietico e via azzardando. Eppure i tratti costitutivi della Russia di Putin ci erano stati chiaramente spiegati da Politkovskaja.
C’ero anch’io quella mattina di sole del 5 maggio 2009 al Monte Stella. Seguivo per Radio Marconi la cerimonia di intitolazione di un albero e di un cippo di granito ai Giusti scelti dall’Associazione per il giardino dei Giusti di Milano, che ha sede sull’unica altura di Milano, nella cui pancia riposano i detriti della città devastata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Intervistai la figlia di Anna e mi ripromisi di approfondire la conoscenza di questa figura insieme a quella degli altri Giusti di quella giornata, Pierantonio Costa, Khaled Abdul Wahab, Hrant Dink, Dusko Kondor.
Ci sono voluti una guerra che ha sconvolto tutte le posizioni ed un forzato periodo di stop per riprendere in mano un libro fondamentale e illuminante per come, una volta terminato, ti porti sconsolatamente a realizzare che Putin non è impazzito. E’ lo stesso dalla comparsa sulla scena nel 1999. Scrive Politkovskaja: “E se non mi piace è anche perché nemmeno noi piacciamo a lui. Non ci sopporta. Ci disprezza. Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico čekista (agente di polizia segreta politica, ndr) sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino”.
Fabio Brenna