La politica italiana ha la memoria corta, questo lo sapevamo. La rapidità con cui abbiamo dimenticato gli sconfortanti numeri dell’astensionismo che ha caratterizzato le ultime tornate elettorali lascia però abbastanza sconcertati. Più che chiedersi come recuperare gli italiani che hanno deciso di non andare a votare, i partiti paiono impegnati in battaglie identitarie che mirano a consolidare un consenso che finisce per essere sempre più marginale e a lottare per recuperare qualche punto (o decimale) percentuale a fronte di un’emorragia di voti che, in termini assoluti, si quantifica in milioni.
A fronte di un oggettivo distacco tra cittadini e istituzioni, il tentativo di recuperare terreno politico pare giocarsi ormai nelle piazze, che offrono la possibilità di riallacciare un contatto emotivo con elettori e di mobilitare energie che sembravano ormai spente sotto la coltre dell’indifferenza. Ecco, allora, la piazza di Firenze per difendere la scuola, la piazza di Milano per i diritti dei figli di coppie omogenitoriali, l’annunciata piazza della CGIL contro le politiche fiscali del governo, l’affollata piazza di Libera e Avviso Pubblico in memoria delle vittime di mafia. In pochi giorni pare essersi risvegliata la partecipazione, ma è davvero un segnale di inversione di tendenza? C’è da augurarselo, perché l’apatia e il rifugio nell’individualismo privato non sono mai una buona notizia, ma come può la politica intercettare e capitalizzare la forza della piazza? Non è un’operazione scontata. “Piazze piene, urne vuote” commentava amaramente Pietro Nenni dopo la sconfitta socialista del 1948 e credo che quella frase rappresenti un monito per chiunque pensi che dalle piazze possa nascere il riscatto di partiti che non hanno saputo conquistare la fiducia degli elettori.
Le piazze, tra l’altro, sono molto diverse tra loro: ci sono piazze identitarie e piazze plurali, piazze arrabbiate e piazza festose, piazze contro e piazze per. La piazza crea movimento, la politica dovrebbe consolidare proposte e percorsi istituzionali. La piazza può essere un buon punto di partenza, ma la politica non può fermarsi lì.
Fabio Pizzul