L’evasione di sette ragazzi dall’Istituto di Pena Minorile di Milano Beccaria nel giorno di Natale ha destato un enorme clamore. Per alcuni giorni la vicenda ha occupato le prime pagine dei giornali e i titoli di apertura dei TG, finché tutti e sette non sono stati rintracciati o si sono presentati spontaneamente, uno persino accompagnato in Questura dal candidato presidente del centrosinistra in Lombardia Pierfrancesco Majorino.
La gravità della vicenda è fuori discussione, ma il modo in cui è stata raccontata mi ha lasciato molto perplesso. I ragazzi evasi sono stati presentati alla stregua di pericolosi malviventi che avrebbero messo in pericolo l’incolumità dei cittadini e la loro fuga è stata dipinta come una evasione da un carcere di massima sicurezza.
Le stesse circostanze in cui sono stati rintracciati gli evasi raccontano una storia completamente diversa, alcuni sono stati “catturati” in casa della mamma o della nonna. E’ una storia di ragazzi che, probabilmente, non si sono neppure resi conto di quanto stava accadendo (penso, in particolare, ad alcuni stranieri) o non sono in grado di comprendere realmente la portata dei loro gesti, per non parlare delle conseguenze degli stessi.
Nessuna indulgenza per atteggiamenti violenti o intimidatori sia ben chiaro e massima solidarietà ad operatori, in particolare gli agenti di polizia penitenziaria in servizio al Beccaria, che sono costretti a lavorare in condizioni molto difficili e sotto organico. Non possiamo però pensare all’Istituto di Pena Minorile alla stregua di un carcere per adulti.
Il Beccaria, in realtà, nonostante lavori di ristrutturazione che durano da oltre 15 anni (e che hanno favorito la fuga), è sempre riuscito a proporre attività formative, culturali, sportive e ricreative per gli ospiti, ma ultimamente le condizioni si sono molto complicate e hanno portato alla necessità di tenere rinchiusi i ragazzi nelle camere, non vorrei chiamarle celle, ma l’effetto pratico è esattamente quello. Se ci si limita a contenere o si dà l’impressione di volere solo punire questi ragazzi, che spesso finiscono al Beccaria perché non si riesce a trovare posto per loro in comunità o fuggono da quelle in cui erano ospitati, non si farà altro che aggravare il problema e costruire le condizioni perché, una volta maggiorenni, finiscano ineluttabilmente in carcere.
La giustizia minorile non può essere considerata una copia in minore di quella degli adulti, ma deve tentare in tutti i modi di sottrarre i minori da percorsi di devianza e marginalità.
Ci sono poi storie molto complicate di ragazzi che hanno già un percorso di vita spiccatamente delinquenziale, ma pensare a loro come inevitabili ergastolani non credo che sia il miglior modo per accompagnarli verso percorsi alternativi.
Mi auguro che quanto accaduto a Natale faccia sì che il Beccaria abbia finalmente un direttore, il personale necessario e una struttura adeguata. E’ però fondamentale che anche i media cambino atteggiamento e stile e non raccontino tutto ciò che ha a che fare con la giustizia e i minori come se fosse “Fuga da Alcatraz”.
Fabio Pizzul