A un anno dall’attacco della Russia all’Ucraina, centinaia di migliaia di profughi sono ancora sparsi in tutta Europa. I confini del nostro continente sono scomparsi di fronte alla necessità di accogliere chi vedeva minacciata la sua vita dalle bombe e dai missili di una guerra folle e insensata.
Molti di questi profughi, soprattutto donne e bambini, sono ospitati anche in Italia e in Lombardia. Nella maggior parte dei casi non si tratta di un’accoglienza organizzata dalle istituzioni, ma di un’accoglienza diffusa di cui si sono fatte carico comunità locali variamente organizzate o direttamente famiglie, che hanno messo a disposizione alloggi e sostenuto le spese per i profughi ucraini, dal vitto al vestiario, fino al materiale scolastico. Il contributo pubblico in denaro è stato molto limitato, nel tempo e nella quantità, nell’ipotesi che la guerra potesse finire in tempi ragionevoli e gli ucraini tornare alle loro case. Così non è stato e, nonostante alcuni profughi abbiano ripreso la strada di casa, la maggior parte di loro continuano ad essere ospitati, senza che l’opinione pubblica si preoccupi di chi sta sostenendo economicamente l’accoglienza. Non manca, per fortuna, il sostegno di molte realtà del privato sociale: Caritas Ambrosiana ha erogato in un anno circa 1 milione o 800 mila euro per sostenere lo sforzo sia delle sue cooperative impegnate come gestori delle accoglienze convenzionate con alcune Prefetture lombarde, quello delle parrocchie e di altri soggetti territoriali, che hanno coordinato soprattutto famiglie. Nella sola diocesi di Milano sono stati così accolti circa 1.700 profughi in 156 strutture, parrocchie, centri e appartamenti.
Questo impegno si è aggiunto al sostegno economico ai profughi collocati nei territori più vicini alla guerra, circa 900 mila euro, che sono andati ad aggiungersi ai 45 milioni stanziati da Caritas Internazionale grazie al contributo delle caritas dei diversi paesi.
La politica pare essersi dimenticata di questa imponente mobilitazione o, forse, ha applicato alla lettera una sussidiarietà che pare molto prossima alla distrazione, se non allo scaricabarile.
La speranza è che la guerra possa terminare al più presto.
Nel frattempo, non possiamo dimenticarci di chi sta sostenendo il peso, anche economico, dell’accoglienza.
Le istituzioni battano un colpo e non si nascondano dietro lo stucchevole dibattito sull’invio delle armi all’Ucraina.
Fabio Pizzul