Perchè Putin gode di così generalizzata buona fama in questo benedetto paese? So di prendermi tutti i
rischi in agguato, ponendomi questa domanda. Potrebbe trattarsi di un incubo derivante dalla bolla in cui
vivo, oppure , primo grosso errore metodologico, dall’aver constatato nella cerchia di amicizie (conoscenze,
frequentazioni, d’accordo chi si somiglia si piglia) come Putin sia considerato tutt’altro che la reincarnazione
di Hitler. Anzi. Mi sembra che –continuo con le generalizzazioni “a sensazione”- sia quell’”uomo forte”
continuamente invocato per mettere in riga…. gli altri, o ridurre a più miti consigli i critici, gli oppositori, gli
antagonisti, quelli che non ci stanno simpatici.
Magistrale in tal senso è la classificazione fatta qualche tempo fa da Sebastiano Messina, nella sua rubrica
su Repubblica. Putiniani, ovvero coloro che lo considerano da sempre un grande statista liberale amico
della pace nel mondo. Quindi i Putinisti, che tifavano fin da subito per una sua rapida vittoria contro
l?ucraina, così tutto finisce e la benzina torna a 1.50 al litro. Oppure, maliziosamente aggiunge i Putinieri,
che non possono abbandonarlo –qualunque cosa faccia- perchè hanno preso i suoi soldi.
E’ che fra questa arguta analisi e i frutti della mia parzialissima esperienza ancora non riesco a spiegarmi i
risultati del sondaggio dello European Council on Foreign Relations . Insomma perché il 56% crede che il
conflitto sia colpa di Putin e ben il 27%, il tasso continentale più alto, che dà la colpa al fronte occidentale.
Come un incubo mi si ripropone la citazione tratta dall’ultima intervista a Mussolini, il 20 marzo 1945: “Io
non ho creato il fascismo: l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”. Inquietante prospettiva.
Scarto volentieri, anche perché privo di mezzi, una lettura psicosociale della storia patria. Ripesco alcuni
punti di forza del pensiero di Gianfranco Miglio, scienziato della politica dalle alterne fortune nei tentativi di
applicazione empirica di tanto elaborato pensiero.
Primo ed essenzialmente, la necessità in politica del “leaderismo” . Il ruolo ineliminabile del carisma, con
l’accento sulla prima a, come usava fare il professore. L’assenza di chi riesce a convincere il suo popolo e a
tenerlo unito per realizzare progetti ambiziosi. Riconosco anche i tratti caratteristici che deve avere questo
“capo”, nell’identikit di Miglio: un’immagine forte, finanche rude, da “stivali sul tavolo” (l’immagine è
ancora sua). Secondo una certa vulgata, lo avrebbe addirittura identificato nel primo Craxi, piuttosto che in
altri aspiranti leader che fecero anticamera nel suo ufficio all’Università Cattolica.
Lascio perdere l’italica e travagliata storia politica e cerco la risposta che non può esserci in tempi di
generalizzato nanismo della politica patria. Giocoforza chiudo però con un’altra domanda: “Abbiamo un
Mosè, anche in fasce, per i nostri destini politici, o saranno i commissari della politica, Monti prima, Draghi
poi, a cavarci d’impaccio fino alla prossima volta?
Fabio Brenna