La sconfitta che il Partito Democratico ha subito alle scorse politiche, facendosi prima triturare tra i due fuochi accesi da Conte e Calenda e poi, rimasto solo, scommettendo tutto sull’identità, avrebbe suggerito un cambio di strategia. Incomprensibilmente, invece, nelle elezioni di Lazio e Lombardia, lo spettacolo andato in scena è stato sin qui il medesimo, segno di una crisi più profonda di quel che i più osavano anche solo immaginare pochi mesi fa.
L’estenuante trattativa protrattasi fuori tempo massimo per tentare di ergersi a baricentro di una coalizione che comprendesse sia Conte che Calenda, convenendo solo al Partito Democratico di fatto non ha incontrato, né avrebbe in alcun modo potuto trovare a queste condizioni, un punto di mediazione accettabile nemmeno per le regionali. Un campo teoricamente largo è rimasto, così, un campetto per giocare a mala pena a calcetto.
Le elezioni nelle due più importanti regioni d’Italia avrebbero potuto avviare per il Partito Democratico il primo tempo di una stagione politica nuova, invece sembrano profilare piuttosto il secondo tempo delle politiche. Se a livello nazionale il Governo Draghi è caduto anticipatamente per mano di Conte, alle regionali si andrà al voto anticipato a causa delle dimissioni di Zingaretti, messosi in sicurezza personale in parlamento dopo aver sbattuto la porta in faccia al partito due anni fa. Ma anche avendo più tempo a disposizione, il quadro politico nel centrosinistra non si sarebbe semplificato.
Nel Lazio, il PD strappa l’alleanza con Calenda dove Azione è più debole del Movimento Cinque Stelle, di fatto regalando a Conte spazio di agibilità a sinistra. Per vincere l’unica carta da giocare a sinistra sarà quella del voto utile, che però agitata all’avvio della campagna delle politiche ha dimostrato di non funzionare all’uscita dei primi sondaggi che davano comunque troppo in vantaggio la compagine di destra per poterla giustificare.
In Lombardia, ancora peggio, il Partito Democratico è rimasto in balia degli eventi, rimandando ogni decisione con l’unico intento di perdere meno pezzi possibili al suo interno piuttosto che provare a rilanciare. Le primarie, strumento impareggiabile di partecipazione attiva allargata, di elaborazione politica e di costruzione narrativo-mediatica, sono state anche in questo caso percepite come un pericolo di delegittimazione della classe dirigente in carica e delle correnti romane, più che un’opportunità per vincere le elezioni con il miglior candidato possibile scelto dai cittadini. Anziché organizzarle al meglio e per tempo, la dirigenza del Partito Democratico guidata da Vinicio Peluffo, come raccontano fonti interne e ben informate, si è adoperata pertanto per non indirle con la sempreverde strategia del rinvio infinito, celandosi dietro tavoli programmatici convocati con una coalizione che è andata sempre più perdendo partecipanti e contenuti comuni, a causa della scelta di non scegliere.
Liquidata l’improponibile mossa del cavallo proposta da Calenda con Moratti, ipotesi scompostamente subita ed entrata in partita nel centrosinistra lombardo solo grazie ai continui rinvii sulla scelta del proprio candidato, il Partito Democratico si è fatto scudo di un’ortodossia che a Roma in questi ultimi 10 anni di governi di larghe intese con Berlusconi, Salvini e Conte ha troppo spesso sacrificato, producendo così l’unica scelta rimasta percorribile a poche settimane dal voto: l’arrocco.
La faticosa sintesi trovata sulla figura degnissima e generosa di Pierfrancesco Majorino, rassicurante a sinistra ma più problematica in area riformista, rischia ora di scaricare su di lui il prezzo di una scelta delegittimata sia dal percorso che dal tavolo confuso e impaurito che ne ha imposto l’individuazione. A lui l’onere di dimostrarsi davvero competitivo, allargando il consenso di una compagine politica ora identitariamente arroccata a sinistra in una regione tradizionalmente di centrodestra: conquistare “i nostri”, come ripete orgogliosamente qualche militante del PD, non è bastato alle politiche e appare impresa ancor più solitaria in Lombardia, dove però destra e centro corrono divisi. Se ci riuscirà, una stagione politica nuova si aprirà nel PD. Se fallirà, una stagione politica nuova si aprirà senza il PD.
Tirinnanzi