Un decennale è un anniversario importante, quasi obbligato per un ricordo o una celebrazione. Ma se ai dieci anni dalla scomparsa del card.Martini aggiungiamo gli oltre quaranta dal suo ingresso e i venti dalla sua partenza da Milano, ci rendiamo conto che molti sono coloro che del cardinale hanno sentito solo parlare.Eppure l’intensità e l’affetto con cui è stato ricordato in questi giorni, ci dice che non si è trattato di una persona o di una vita qualunque.
Ho pensato a lungo quale potesse essere il mio contributo per ricordare il Card.Martini, fuggendo dalla tentazione di una impossibile (per me) trattazione sistematica del suo pensiero. Provo allora a condividere che cosa ha significato per me la sua persona e la sua figura. Sono entrato nella “sua” radio diocesana nel 1992, seguendo la seconda parte del suo episcopato. Per noi “allora” giovani, Martini era un punto di riferimento ma per la sua autorevolezza, una sorta di “personaggio illustre”. Così mi ricordo l’emozione che provai quando lo incontrai all’improvviso, arrivando di corsa nel salone al primo piano della curia milanese. Nulla a confronto della prima intervista che mi concesse a margine di un evento sull’Europa. Volle conoscere le due domande che gli avrei rivolto: si concentrò per dieci secondi che mi parvero un’eternità e mi fornì due risposte “pronte” per la messa in onda; poche parole, della durata giusta e con un concetto da ricordare, che faceva notizia.
Penso sia stato un po’ questo il motivo per cui accoglievo con soddisfazione la richiesta di seguire una conferenza stampa o un evento che vedeva la partecipazione del cardinale: la certezza che mi sarebbe rimasto addosso qualcosa. E così, l’occasione di scrivere questa testimonianza si è rivelata prezioso viaggio nella memoria, ricordando un concetto, una frase, una parola che ancora oggi si rivelano essere luce, stimolo, conforto, base per pensare. In fin dei conti credo che l’esperienza martiniana sia questo radicamento sulla parola che dà senso e che forma individui pensanti. In epoca di troppe parole (spero senza eccessivo mio contributo) è un’eredità non da poco.
Fabio Brenna