Il mito di Polifemo, nel canto IX dell’Odissea racconta di Ulisse che riuscì a sottrarsi al terribile Polifemo cambiandosi nome: “Nessuno è il mio nome: Nessuno mi chiamano mia madre e mio padre e tutti gli altri compagni”. Il terribile gigante, colpito con una trave nell’unico occhio, chiese invano aiuto ai suoi fratelli ciclopi: “Nessuno, amici, mi uccide con l’inganno, non con la forza”. E ottenne in cambio un’adeguata risposta: “Se dunque nessuno ti fa violenza e sei solo, non puoi certo evitare il morbo del grande Zeus”. Il mito esalta l’astuzia di Ulisse e ci dice come le parole possano essere più potenti della forza bruta, se solo vengono utilizzate a dovere.
In questi giorni stiamo assistendo a un tentativo di usare le parole per sconfiggere una minaccia terribile, ma la similitudine si ferma drammaticamente qui. Anche perché di fronte non abbiamo un gigante iracondo, ma un microscopico virus che non sente e non vede e di fronte al quale le parole perdono la loro forza.
Cambiare a parole le regole di contenimento della pandemia, stabilendo di non contare tutti i positivi, a meno di sintomi gravi, o chiedendo di eliminare ogni riferimento ai colori per regolare le attività sociali ed economiche rischia di essere uno stratagemma ambiguo.
Dire al ciclope che Nessuno lo minacciava permise ad Ulisse di aver salva la vita. Cambiare parole per contrastare il minuscolo Covid non consente di debellare la pandemia.
I presidenti delle regioni intendono forse ripercorrere le gesta di Ulisse chiedendo il cambio di regole per semplificare la vita ai propri cittadini? Non siamo però di fronte a un ingenuo gigante, prevedibile nelle sue goffe reazioni; siamo alle prese con un subdolo virus che si diffonde grazie alla superficialità degli umani.
Non bastano le parole per uscire dalla pandemia, servono ancora grande prudenza e collaborazione di tutti.
Ci sarebbe molto da riflettere anche su come gli stessi media abbiano usato le parole per raccontare la pandemia.
