La campagna per promuovere il turismo in Italia che ha come testimonial la Venere di Botticelli in versione influencer è stata mal commissionata. L’Italia è una superpotenza turistica, meta ogni anno di milioni di turisti stranieri e in vetta ai paesi più desiderati al mondo per le proprie vacanze. Il problema del nostro Paese non è quindi quello di non riuscire ad attrarre turisti, ma semmai quello di fare in modo che non si concentrino tutti nei grandi poli attrattivi più famosi, magari per soste mordi e fuggi più imperniate sul consumismo che sulla fruizione che operatori del settore e cittadini desidererebbero.
La campagna Open to Meraviglia, purtroppo, sembra invece imperniata proprio sul turismo di minor qualità, quasi che il problema fosse attrarre grandi masse di persone per farsi un selfie con la storia. Se non stessimo parlando dell’Italia, potrebbe anche essere una buona strategia, ma in un paese dove le città d’arte sono costrette a contingentare gli ingressi vien da chiedersi se sia questo l’obiettivo da perseguire.
Per l’Italia, inoltre, promozione turistica e posizionamento internazionale della propria immagine, benché siano cose diverse, appaiono intrinsecamente legati. E anche in questo caso vien da chiedersi se sfruttare alcuni stereotipi italiani immediatamente riconoscibili all’estero, al di là del beneficio d’impatto immediato, sia effettivamente funzionale a rafforzare l’immagine l’internazionale che il nostro Paese vorrebbe dare di sé o, piuttosto, non contribuisca a identificare il bel paese solo con uno stile di vita edonistico e scanzonato.
Come ogni campagna ben congegnata, non è necessario che piaccia a tutti, ma è fondamentale che comunichi il messaggio corretto al target di riferimento: siamo sicuri che il committente avesse chiaro cosa chiedere ai creativi che l’hanno ideata? È una considerazione assai più importante da affrontare di quella relativa ad alcuni limiti tecnici che la campagna, anche in questo caso, purtroppo ha, soprattutto a livello manageriale.
Nei giorni in cui Milano è al centro del mondo per il Salone del Mobile, qualche spunto per provare a ideare qualcosa di nuovo, non tanto dal punto di vista creativo ma concettuale, emerge dal Fuorisalone e da come una fiera della produzione del made in Italy possa diventare sistema, hub creativo, fruizione diffusa sia tecnica che popolare, per tutti i gusti. Anche se, va detto, la diffusione in periferia e fuori Milano, i servizi e l’organizzazione del Fuorisalone hanno ancora molti margini di miglioramento, soprattutto per chi non è di Milano: le foto che si fanno al fuorisalone renderebbero contenta la Venere influencer, ma non sono sempre a misura del turista più esigente.
Marco Chiappa