La scelta di papa Francesco di creare cardinale mons. Oscar Cantoni, vescovo di Como e di escludere l’arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini sta facendo parecchio discutere, almeno in ambito ecclesiale. Credo che l’ultimo a preoccuparsi di queste discussioni sia il diretto interessato, mons. Delpini, che non è certo il tipo che rischia di cadere in depressione per il mancato ottenimento della porpora cardinalizia.
Non mancano però considerazioni riguardo il fatto che la scelta del Papa rappresenti una sorta di mancanza di attenzione alla diocesi di Milano, oppure uno scarso apprezzamento per la persona di Delpini. Credo di poter escludere ragionamenti di questo tipo, che pure sono comprensibili alla luce della storia del collegio cardinalizio da Paolo VI a Benedetto XVI. Il titolo cardinalizio, negli ultimi trent’anni, è stato collegato a doppio filo con la sede episcopale occupata dai diversi vescovi ed essere arcivescovo di Milano comportava il fatto di diventare automaticamente cardinale.
Con Francesco le cose sono cambiate, come notava già nel 2017 (quindi in tempi non sospetti) il padre gesuita americano Thomas Reese in un articolo sul “National Catholic Reporter”: “Ma la vera rivoluzione nella selezione fatta da papa Francesco la si è vista nel trascurare il tradizionale bacino delle sedi cardinalizie e semplicemente nello scegliere ogni vescovo di suo gradimento, persino un vescovo ausiliare. In passato solo gli arcivescovi delle maggiori sedi metropolitane erano selezionati come cardinali. Alcune sedi hanno avuto cardinali in modo così consistente nel tempo che i loro arcivescovi venivano considerati naturalmente avviati al cardinalato. Francesco ha ignorato questa regola non scritta fin dalle sue prime selezioni”. Secondo il gesuita americano questo offre al papa “la libertà totale di scegliere qualsiasi vescovo che egli desidera come cardinale”. E ancora: “Sceglie la persona piuttosto che la sede. Cerca vescovi che supportino il suo stile pastorale e la sua visione di Chiesa. Questo assicura che coloro che lui elegge garantiranno continuità al prossimo conclave, invece di modificare la direzione di marcia della Chiesa. Il conclave sarà pieno di pastori che sentono l’odore delle pecore loro affidate”.
Può rientrare in questa logica anche il fatto che non vengano scelti vescovi di diocesi particolarmente impegnative e importanti, per evitare che gli impegni curiali romani a cui i cardinali sono chiamati distolgano l’attenzione pastorale dalla diocesi loro affidata. Può esserci anche una questione di sinodalità, nell’idea che vescovi di piccole diocesi possano sempre consultarsi con quelli di grandi diocesi e non necessariamente è vero il contrario, ma è anche vero che, almeno in Italia, una qualche attenzione alla rappresentatività, anche simbolica, di alcune diocesi è necessaria e naturale.
Rimangono le discussioni e il rammarico, tutto ambrosiano, di non poter festeggiare la porpora per mons. Delpini. Credo ci tenessero più i suoi collaboratori e i fedeli ambrosiani che il diretto interessato, ma è innegabile che le altre diocesi lombarde e italiane abbiano sempre considerato Milano un riferimento importante. Ci saranno, allora, altri modi con cui il Papa portà esprimere il suo apprezzamento per mons. Delpini e per la diocesi di Milano.
A proposito, complimenti a mons. Oscar Cantoni per questo suo nuovo ruolo ministeriale che sono certo svolgerà al meglio con grande esperienza e sensibilità pastorale di cui è portatore.
Fabio Pizzul
già in passato alcune scelte di Papa Francesco per i nuovi cardinali hanno suscitato meraviglia, per i nomi e le località sparse nel mondo (non solo in Italia).
Certo vedere nuovo cardinale a Como e non a Milano ha destato molta sorpresa; ma con questo ragionamento da “graduatoria politica” ci sono state persone deluse per avere un papa argentino e non Scola.
Poi la visione pastorale di Papa Francesco, come ricordato, non contempla automaticamente la “promozione” dei vescovi di diocesi importanti.