Sarebbe “la madre di tutte le riforme”, secondo Giorgia Meloni. Una cattiva madre, stando alla presentazione.
Il premierato post-missino infatti ha caratteristiche d’un materno mortifero.
È privo di paterno, d’un impianto, un’ideale complessivo unificante di convivenza statuale in cui tutti ci si possa riconoscere indipendentemente dalle appartenenze ideologiche. Puoi intuire verso dove vuole parare: un Parlamento di soldatini di piombo e un Capo dello Stato ridotto a burocrate di atti notarili voluti altrove. Un quadro fosco. Quando è ”Grande” la madre può esser davvero cattiva: demolire, distruggere, infilarsi lei e i fedelissimi che a lei si sono votati. La riforma meloniana manca di senso della realtà e della storia verso l’oggetto che tratta: la Costituzione, di visione d’assieme, elaborazione d’un pensiero, progettualità organizzativa e funzionale: ha in mente solo il premier princeps legibus solutus reso tale nei fatti dall’enfatizzazione dell’investitura popolare, come in certe saghe Fantasy o in società segrete; il premier oggetto e idolo, da mettere su un piedistallo, attorno al quale tutto dovrebbe ruotare, uniformarsi, piegarsi. Nell’incrocio fra tradizione missina e populismo autocratico il premierato di Meloni si eleva sugli altri organismi istituzionali, i quali vengono declassati in posizione subordinata, ridotti a figli di una Grande Madre di tipo mediterraneo, della quale debbono essere docili esecutori di volontà, pareri, associati cioè per devozione.
L’ostentata grandiosità nell’annuncio è nelle intenzioni il trionfale ingresso “nella Terza Repubblica” (si sono allargati: non c’è mai stata la seconda); un sinistro segno viste le circostanze temporali. Il premier formato Meloni, la “Grande Madre” delle riforme che avrebbe miracolosamente trovato dopo 75 anni la chiave di volta per sanare i mali del Paese è stato spavaldamente incoronato a Palazzo Chigi incuranti dell’imbarazzo nazionale e internazionale dopo la figuraccia e i pericoli per la sicurezza della comica telefonata; ha portato in dote una manovra in deficit blindata con umiliazione del Parlamento (no emendamenti), la tenaglia di due tremende guerre, parole-prole-parole sul Piano Mattei, un anno di governo per decreti, i dubbi sul PNRR, l’incapacità di misurarsi con opposizioni (il birignao con Brunetta per bocciare il salario minimo), sindacati delegittimai il 1° maggio (“Noi lavoriamo, non andiamo in piazza”), Enti locali e territori penalizzati (l’Emilia che paga la sua fama di “rossa” dopo l’alluvione; vedremo adesso con la Toscana ), sanità pubblica e case per studenti obliate.
Il premier “Grande Madre” è vertice d’una “sindrome da indennizzo”: s’è visto con lo spoil system, Rai, istituzioni culturali, enti. La destra-destra non conosce autocritica per le scelte sbagliate di padri e fratelli maggiori. L’han mostrato La Russa e la stessa Meloni: caparbi non riescono a pronunciare la locuzione semplice, questa sì identitaria per il popolo italiano “Costituzione antifascista” su cui pure han dovuto giurare per andare al Governo e Presiedere il Senato.
L’anno prossimo ricorono i 30 del famoso discorso di Milano in cui Giuseppe Dossetti, nel 1994, ricordando Giuseppe Lazzati l’amico e compagno delle battaglie per impiantare l’Italia democratica, uscita dalla lotta di Liberazione dal nazifascismo, diede il via ai Comitati in difesa della Costituzione.
Ripartiamo di lì, da luoghi di lavoro, università, scuola, teatri, circoli culturali, centri parrocchiali per spiegare:
1. che con il premierato di Meloni il popolo, la gente, noi abdichiamo alla sovranità che la Costituzione del 1948 attribuisce con le elezioni e mandiamo a Palazzo Chigi un autocrate che farà quel che vorranno lui e i cerchi magici sponsorizzanti per 5 anni (per ora);
2. non potrà più contare sulla funzione equilibratrice dei poteri e di alta rappresentanza unitaria di Mattarella o di un Capo dello Stato della sua portata;
3. che la Costituzione bisogna attuarla prima di cercare stravolgerla e piegarla ad altri usi;
4. che i senatori a vita sono la ricchezza d’un Paese e se la destra-destra non classe dirigente o personalità di spicco, non può invidiosamente affossare l’istituto che dà i Piano, le Segre, le Cattaneo, i Monti. C’è proprio da battere un colpo, se amiamo la Costituzione e farla autenticamente vivere.
Marco Garzonio