Di film che raccontano la rivolta dei robot sugli umani se ne contano a decine. Uno senario che diventa apocalittico se applicato a sistemi d’arma sempre più dominati dall’intelligenza artificiale. La nuova generazione di aerei, navi, carri armati nasce con la predisposizione ad essere priva di equipaggi. Come il caccia Tempest realizzato da Gran Bretagna, Svezia ed Italia che potrà volare con o senza pilota, sincronizzandosi in azione con una squadriglia di droni combattenti. In prospettiva potremmo arrivare all’onnipresente algoritmo che decide chi, come e quando colpire. Una guerra senza umani. Una guerra più “giusta”, “tollerabile”, “asettica”? Che la rende ancora più lontana di quanto non siamo portati a ritenere remoti e limitati i fronti bellici che pure a decine si contano ancora oggi nel mondo.
Nei giorni scorsi un comitato dell’Onu si è riunito a Ginevra per tentare di definire un trattato globale sui robot guerrieri. Una discussione che si protrae da otto anni. Il problema è cercare di porree un limite all’intelligenza artificiale. Secondo l’Onu, nella scorsa primavera in Libia un aereo telecomandato turco ha condotto un raid scegliendo il bersaglio e decidendo quando uccidere.
Una situazione diversa dall’impaccio “morale” vissuto da Helen Mirren nel film “Il diritto di uccidere”. Nella pellicola di Gavin Hood siamo in una situation room dove si deve decidere l’eliminazione di un capo terrorista attraverso un drone comandato a distanza. Sulla scena si piazza però una bimba con la sua cesta di pani da vendere. La narrazione prova a suggerire il confronto fra regole d’ingaggio, urgenza di colpire nel nome della sicurezza “internazionale” e i dissidi morali di poter considerare la possibile uccisione della bimba come “effetto collaterale”. Anche i militari hanno un’anima, delle regole, il rispetto della vita di una sola bambina innocente, pur di fronte al “supremo bene” di garantire al mondo stabilità e pace.
Una guerra insomma che non è più affare dei soldati in campo (e non lo è più da tempo). Dalla seconda guerra mondiale i civili sono al parte preponderante delle vittime di un conflitto. Ma ora il passo sembra essere quello di portare il conflitto ad un livello superiore: non virtuale perché il “nemico” esiste e viene eliminato; ma nel corso di un’operazione chirurgica senza più nemmeno il bisogno dell’operatore.
Un po’ come in un altro film, “Good kill”, dove il manovratore di droni lascia la sua esistenza “tranquilla” nella bella famiglia che abita nella villettina americana vicino a Las Vegas. Thomas Egan si reca al lavoro in orari d’ufficio e come un contabile davanti al PC passa le giornate non a rivedere fatture, ma a far partire il colpo che si rivelerà fatale per l’obbiettivo. Una vita stroncata con tutti i giustificativi del caso, ma tale da far sorgere dubbi progressivi nel protagonista del film. A noi che anche abbiamo fatto una scelta definitiva di obiezione di coscienza, fa sentire come urgente non lasciare ad un algoritmo il lavoro sporco della guerra; sempre e comunque da ripudiare “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.
Fabio Brenna