Dal 2013 ad oggi Partito Democratico, Movimento Cinque Stelle e Lega hanno conosciuto una rapida ascesa e poi una ancor più rapida crisi, non senza conseguenze.
Alle Elezioni Europee del 2014 il Partito Democratico passò dal 25,43% delle politiche dell’anno prima al famoso 40,82%. Sotto la guida di Matteo Renzi, il Partito Democratico fu capace di attrarre elettori non inclini a votare per un centrosinistra tradizionale. Un consenso rimasto ineguagliato nella storia recente, ma dilapidatosi durante gli anni di governo e precipitato al 18,76% alle politiche del 2018.
Il passaggio di testimone lo raccolse il Movimento Cinque Stelle, che alle politiche del 2018 raggiunse il 32,68% dei consensi. Anche in questo caso un risultato così eclatante fu reso possibile grazie alla capacità attrattiva del Movimento verso grandi concentrazioni di elettorati che negli ultimi anni avevano votato per il centrodestra, per il centrosinistra o che si erano astenuti. Dopo appena un anno al Governo, tuttavia, alle Elezioni Europee del 2019 il Movimento Cinque Stelle raccolse un assai più misero 17,07%.
Grande vincitrice delle Elezioni Europee del 2019 fu invece la Lega con il 34,33%. Un partito, la Lega, che nel 2013 valeva solo il 4,09%, che nel 2018 iniziò la sua scalata raggiungendo il 17,35% e superando di poco Forza Italia fermatasi al 14%, ma che dopo la crisi del papeete iniziò quel declino che i sondaggi pubblicati fino a qualche giorno fa forografavano in caduta libera dalle parti del 10%.
Le ragioni della crescita e del declino specifico dei tre partiti menzionati sopra sono state diverse tra loro, ma quel che preme qui sottolineare è come ciò sia avvenuto molto rapidamente. La mobilità dell’elettorato è stata insomma tanto considerevole quanto rapida nel cambiare direzione.
Al di là di chi vincerà le elezioni, è lecito chiedersi se l’accresciuto consenso registrato recentemente da Fratelli D’Italia non sia l’ennesima fiammata destinata e spegnersi rapidamente e con quali conseguenze. Così rapide ascese e discese, infatti, spodestano sì potentati e rendite di posizione, ma impediscono anche il crescere e il consolidarsi di una classe dirigente di qualità.
La spirale che si determina è sempre la stessa. Durante i primi segnali di successo, il partito di turno diventa progressivamente più attrattivo, ma i primi a bussare alle sue porte sono coloro che negli schieramenti dai quali provengo non trovano più spazi per emergere. Si tratta insomma di chi non ha nulla da perdere e che spesso non rappresenta la punta di eccellenza rispetto al proprio alveo di appartenenza originario. Quando poi il consenso cresce a dismisura, coloro che per primi sono saliti sul carro dell’attuale vincitore rivendicano la propria primogenitura, finendo per surclassare chi, benché dotato di qualità e competenze superiori, si è unito solo più tardi al coro dei vincitori. Si tratta di dinamiche di ricambio dell’offerta politica non certo nuove, ma che con la grande accelerazione degli ultimi anni hanno reso impossibile la selezione e la formazione di figure di alto profilo.
Al di là del se andrà o meno al Governo dell’Italia, Giorgia Meloni il 25 settembre registrerà indubbiamente una rilevantissima crescita di consenso erodendo voti soprattutto alla Lega: sarà capace di una seria e qualificata campagna acquisti delle competenze, o privilegiando il cerchio magico dei propri fan degli esordi, farà la fine rapida di chi l’ha preceduta? E la stessa domanda vale anche per Carlo Calenda, in pole position per raccogliere il declino di Giorgia Meloni già dai primi mesi dopo il voto, sempre che il processo sin qui osservato di vertiginose ascese e rapidi declini continui.
Marco Chiappa


Nota metodologica: i dati elettorali citati si riferiscono a quelli della Camera dei Deputati, come riportati sul sito https://elezionistorico.interno.gov.it/index.php?tpel=E mentre per il 2022 si sono presi i dati di swg dell’ultimo sondaggio pubblicabile, come riportati sul sito http://www.sondaggipoliticoelettorali.it/ListaSondaggi.aspx?st=SONDAGGI