Nell’imminenza del giuramento del nuovo governo d’Israele (avvenuto ieri 29 dicembre, ma l’insediamento dell’esecutivo è previsto per il 2 gennaio) nelle principali città israeliane migliaia di manifestanti sono scesi in piazza. Il timore, neppure troppo velato, è che questo governo, il più di estrema destra della storia del Paese, indebolirà la democrazia interna e, di fatto, rafforzerà il potere del rabbinato sulla vita religiosa e civile. Preoccupazioni anche da parte della comunità Lgbtq, che si vede minacciata dall’impostazione del nuovo esecutivo, ma anche delle donne, che temono un’involuzione del loro ruolo sociale. Per non parlare della minoranza araba, che rischia di essere ulteriormente discriminata dalla maggioranza ebraica.
La violenza in Cisgiordania intanto continua ad aumentare e la situazione sembra destinata a incancrenirsi se solo il nuovo ministro delle Finanze (con delega anche agli affari civili in Cisgiordania) Bezalel Smotrich, leader del Partito religioso sionista, farà valere le sue promesse elettorali. Lo stesso vale per il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, leader dell’ultranazionalista Otzma Yehudit (Potere ebraico) che sovrintenderà alla polizia di frontiera. Ben-Gvir non ha mai taciuto la sua propensione all’annessione della Cisgiordania per decretare la fine dell’Autorità nazionale palestinese.
Non è un caso che il re di Giordania Abdallah II, nell’imminenza della nascita del nuovo governo israeliano, abbia messo in guardia circa il rischio di una terza intifada. E che il presidente statunitense Joe Biden abbia diramato una dichiarazione che, da una parte, si profonde in congratulazioni verso il governo di Netanyahu; dall’altra però mette in guardia su qualsiasi mossa che minacci una soluzione del conflitto che non sia quella dei due Stati.
Il rischio di un ulteriore deterioramento della situazione sembra lampante anche nel programma della coalizione di governo, nel quale si afferma la volontà di portare avanti l’espansione degli insediamenti nelle aree che i palestinesi rivendicano per un futuro Stato. «Il popolo ebraico – si legge – ha un diritto unico e irrevocabile su tutte le parti della Terra d’Israele. Il governo avanzerà e svilupperà insediamenti in tutte le parti di Israele: in Galilea, nel deserto del Neghev, nelle alture del Golan e in Giudea e Samaria (Cisgiordania)».
Difficile credere che da questa visione possa scaturire qualcosa di diverso da una ulteriore polarizzazione e da un nuovo inasprimento del conflitto.
Giuseppe Caffulli