È stata particolarmente alta l’affluenza degli elettori recatisi ai seggi nella tornata elettorale del 1° novembre in Israele: il 71,3 per cento degli aventi diritto (6 milioni e 780mila). Il popolo ha attribuito una vittoria piuttosto netta a Beniamin (Bibi) Netanyahu, il più longevo premier di Israele. Dopo essere stato per un anno e mezzo leader dell’opposizione, il nuovo esecutivo potrà contare – sulla carta – sull’appoggio di 65 parlamentari su 120 (gli ultimi governi si sono retti con, al più, 61 voti a favore).
Appunto sulla carta. Mentre scriviamo sono in corso le trattative per la composizione del nuovo governo. Ma è un percorso non privo di ostacoli.
Il dato elettorale più significativo di queste elezioni sta tutto nella grande crescita dei partiti di estrema destra. Viene dunque da chiedersi cosa ci si può aspettare dal prossimo governo e quale ripercussione avrà la sua azione sulla società israeliana, mentre infuria la guerra tra Russia e Ucraina e l’Iran, nemico giurato, è infiammato da proteste di piazza e sanguinose repressioni…
Netanyahu, si trova ora alla ricerca di un delicato equilibrio interno, perché le posizioni più radicali ed estremiste dei suoi alleati rischiano di mettere in forse alcuni percorsi avviati frutto degli Accordi di Abramo, specie con i Paesi del Golfo. Non sarà facile trovare una sintesi, perché l’estrema destra e gli ultraortodossi avranno un ruolo di primo piano nel futuro esecutivo. Per questa ragione Bibi potrebbe essere tentato di cercare il sostegno del centrista Benny Gantz, ministro uscente della Difesa. Per non spostare l’asse troppo a destra, Netanyahu dovrebbe fare a meno del fronte dei partiti dell’estrema destra religiosa. Il che però gli consegnerebbe un numero di seggi (57) insufficiente a formare il governo.
Insomma, la situazione resta fluida. Tra ultimatum e penultimatum, Netanyahu naviga per ora a vista.
Giuseppe Caffulli