Le donne iraniane, afghane ed ucraine, così diverse e lontane, vivono sotto lo stesso cielo, camminano la stessa profezia, insieme si danno coraggio. Sono la stella cometa che ci guida alla grotta di Betlemme. “Sempre Dio – dice papa Francesco – comincia con le donne, sempre”.
“Io fiorirò anche se ho il corpo ferito” è il canto che accompagna le donne iraniane nelle manifestazioni che dilagano nel loro Paese. In Iran, Afghanistan e Ucraina cammina una profezia. Le donne si danno coraggio per affrontare la paura e dare feritoie alle ferite dell’oppressione e della guerra. Sono la stella cometa che ci guida alla grotta di Betlemme, alla casa del Pane, della solidarietà e della pace. Nel mondo c’è un profondo debito di ascolto delle donne. Il rischio è quello di vedere la tragedia senza “ascoltare” il loro profondo. “L’ascolto – dice lo psichiatra Eugenio Borgna – non è un semplice ascolto di parole che raggiungono l’orecchio ma vita. Si ascolta anche con gli occhi e soprattutto con l’anima. Si ascoltano i silenzi e le emozioni” (Avvenire, 25 agosto ’21). “Sempre Dio – dice papa Francesco – comincia con le donne, sempre”. Anche questo è profezia del presente.
Le donne iraniane In ottanta giorni il volto dell’Iran si è profondamente modificato. L’ondata della protesta nasce a Soaqez, nel Kurdistan iraniano, con la morte della ventiduenne Masha Amini colpevole di avere una ciocca di capelli fuori dal velo. In Iran c’è una profonda frattura che i numeri, gli avvenimenti, le rivolte confermano. Hrana, agenzia specializzata in diritti umani, segnala 440 manifestanti uccisi durante le proteste, di cui 64 bambini. Le autorità iraniane parlano di 20mila arrestati, anche di attori e sportivi come il calciatore Vana Ghofouri che si è schierato con i “ribelli”. Nella prima partita del campionato mondiale, i calciatori iraniani non cantano l’inno nazionale e abbracciano gli avversari americani. La rivolta ha coinvolto 156 città, che viene accelerata nelle università. Sono 63 i giornalisti arrestati, cifra senza precedenti, dove il 44% sono donne. I focolai registrati della rivolta sono 1075, dove la quasi totalità risulta essere capeggiata da donne. Il regime alza il tiro dello scontro con l’impiccagione del 23enne Mashesen Shekari colpevole di aver ferito un miliziano dei Bosij. Si temono altre esecuzioni di giovani con sentenza di morte.
Secondo Iran Human Rights, con sede a Oslo, sarebbero oltre 504 le persone uccise quest’anno in Iran, più delle 314 persone portate al patibolo nel 2021 e delle 267 del 2020. L’Iran occupa il secondo posto al mondo per numero di esecuzioni capitali. Per Amnesty International, almeno 26 persone, tra cui tre minorenni, sono attualmente sotto processo con accuse che prevedono la pena capitale.
La voce di Masih Alinejad, giornalista e attivista iraniana in esilio sta raccontando al mondo la battaglia per le donne contro l’obbligo del velo. Un segno dei tempi nella storia del popolo iraniano. I suoi capelli sono diventati il simbolo di libertà contro le restrizioni imposte alle donne da una lettura miope, di genere, del Corano. Tradurre non è tradire. Nel giro di pochi mesi Masih Alinejad è diventata la voce delle martiri iraniane uccise. La sua denuncia ha reso visibile l’invisibile. In Be My Voice, documentario della regista iraniana Nahid Persson, naturalizzata svedese, racconta la battaglia di Masih per le donne iraniane. Anche prigioniere, non è stato possibile incatenare la loro umanità, le donne manifestano nelle strade delle loro città e villaggi. La rivolta delle donne iraniane è dilagata in tutto il Paese coinvolgendo anche gli uomini. Nel documentario Be My Voice c’è una immagine che ha fatto tremare il clero iraniano. Una folla sterminata di donne che cantano la canzone dove si ripete la frase chiave della rivolta pacifica: “Io fiorirò anche se ho il corpo ferito”.
Le donne afghane La storia del popolo afghano è contraddistinto da una fortissima determinazione delle donne nelle diverse etnie presenti in Afghanistan. Quando due anni fa, i talebani tornarono al potere, furono le donne afghane ad affidare i loro bambini ai militari, al console italiano, sul muro dello scalo di Kabul che separava la disperazione dalla speranza. Non sono poche le donne afghane che hanno lasciato segni, radici indelebili, nella storia martoriata del popolo afghano. Da ricordare Zarifa Ghafari, la più giovane sindaco dell’Afghanistan (29 anni), acerrima nemica dei talebani e conosciuta per il suo impegno a favore delle donne, oggi rifugiata nel Nordreno-Vestaflia. Amina, insegnante di corsi per l’imprenditoria femminile e animatrice dell’esperienza dei “taxi rosa” a Kabul, rifugiata a Roma. Zakira e la nazionale femminile di calcio afghano sono libere a Sidnay con visti umanitari. Nel 2006, proprio a Milano, si costituì il Comitato Arghosha Foraway Scholos con lo scopo di costruire scuole in zone remote e svantaggiate nel mondo incominciando dall’Afghanistan. Filippo Grandi, Paolo Lazzati, Marco e Maria Rosario (nipote di Giuseppe Lazzati) e Niada i fondatori.
Oggi Laila Basim, giovane 26enne afghana, guida la protesta delle donne di Kabul. Con il volto scoperto, scende in strada con altre donne coraggiose per reclamare i propri diritti. Consapevole dell’importanza dell’educazione per la libertà, insieme ad altre attiviste ha allestito una biblioteca con più di 1000 libri a disposizione delle donne di Kabul. Un modo per resistere alla tirannia talebana. “Amo l’Afghanistan. –dice Laila Basim – Mi piacciono perfino le strade polverose e il fumo. Non paragono questo suolo ridotto in cenere con città come Parigi, New York e Londra, ma qui c’è l’odore di mia madre”. Da tempo sui social gira il video delle ragazze iraniane che in persiano cantano Bella ciao. “E’ un inno bellissimo – commenta Laila Basim -, un memoriale al sacrificio di esseri umani che con la loro rabbia hanno rovesciato l’oppressore”.
Le donne ucraine Il numero stimato dei profughi in fuga dalla guerra e accolti nei paesi dell’Europa supera i tre milioni, altri due milioni sono calcolati tra gli sfollati interni. In queste cifre mastodontiche, mai sperimentate dall’ultimo dopo guerra, la presenza di donne e bambini accolti è altissima. L’estate scorsa per il Viminale erano 55.000 le persone ucraine giunte in Italia. Di queste, 28.500 sono donne, 4700 uomini e 23.000 i minori. A Milano in Casa della carità sono stati accolti 40 profughi. Sono presenti 18 donne, un uomo, e 21 minori (dai 3 ai 17 anni) provenienti da Kiev, Kharkov, Ivano-Frankivs’k.
In questo esodo per la vita, c’è stato il risvolto eroico di un bambino undicenne che, in solitaria, ha viaggiato per 1200 chilometri per arrivare dagli zii in Slovacchia. Sul dorso della piccola mano la mamma, con un pennarello, ha scritto il numero telefonico dei parenti che immediatamente sono andati a prenderlo alla stazione. La mamma non era accanto perché non ha voluto abbandonare la nonna invalida. In questo gigantesco esodo le donne e i bambini vanno protetti anche dai trafficanti di persone. Preoccupazione lanciata dal cardinale Mario Grech e ripresa da papa Francesco: “Pensiamo a queste donne, a questi bambini che con il tempo, senza lavoro, separate dai loro mariti, saranno cercate dagli “avvoltoi” della società. Proteggiamoli per favore”.
Silvio Mengotto