In piazza Diaz, a Milano, proprio accanto a Piazza Duomo, dall’inizio degli anni ’80 è presente il monumento all’Arma dei Carabinieri. Non l’avevo mai notato, ma lo si può vedere addirittura da Piazza della Scala, allungando lo sguardo attraverso Galleria Vittorio Emanuele, il Salotto di Milano.
Lo ha ricordato ieri Nando Dalla Chiesa, nel suo intervento durante la presentazione della mostra dedicata a suo padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, a 40 anni dal suo assassinio a Palermo, nel quale persero la vita anche la moglie, Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Era il 3 settembre 1982.
Il fatto che il monumento ai Carabinieri sia visibile anche da piazza Della Scala può sembrare un particolare irrilevante, ma era uno dei punti di orgoglio del generale Dalla Chiesa, che aveva fortemente voluto quell’installazione, mentre era al vertice del Comando Interregionale Pastrengo a Milano, per celebrare l’impegno e il sacrificio degli uomini dell’Arma negli anni difficili del Terrorismo e dell’offensiva della Mafia.
All’inaugurazione, il 13 dicembre 1981, pochi mesi prima del suo assassinio, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fu protagonista di un curioso fuori programma, raccontato ieri dal figlio Nando. Al termine della cerimonia, mentre stava lasciando la piazza, il generale si sentì chiamare dalle transenne che contenevano la folla che si era radunata per l’inaugurazione: “nonno!”. Era il nipotino che Nando aveva portato mescolandosi alla folla. Il generale si staccò per andare ad abbracciare il piccolo e immediatamente tanti altri genitori alzarono i loro bimbi invocando un bacio anche per i loro piccoli, quasi che l’austero carabiniere potesse garantire una sorta di benevolente protezione. Ricordando l’episodio, non senza un pizzico di commozione, Nando Dalla Chiesa ha voluto sottolineare come il padre godesse di grande consenso e apprezzamento popolare, che non trovò però all’epoca un corrispettivo a livello istituzionale. Solo nei decenni successivi la memoria del generale è diventata patrimonio di tutti e la sua figura è stata degnamente commemorata, soprattutto su iniziativa di comuni, scuole e altre realtà territoriali che hanno riempito un vuoto di memoria istituzionale.
L’esercizio della memoria collettiva non è facile e la politica troppo spesso contribuisce a creare divisioni piuttosto che concordia sulla necessità di non dimenticare chi ha servito lo Stato fino al sacrificio della propria vita. La mostra itinerante, che fino al 26 febbraio sarà a Palazzo Reale di Milano, è un modo per recuperare una memoria condivisa e onorare un autentico servitore dello Stato.
Fabio Pizzul