7 aprile 2023, l’AGI titola: «L’Italia è un paese per vecchi». L’incipit del lancio
è a dir poco allarmante: «Nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta
dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità, attestandosi a 393mila».
La reazione sui quotidiani nostrani a una notizia-bomba come questa? Solo
“Il Messaggero” e il “Gazzettino” le hanno dedicato il titolo di apertura in prima
pagina. I giornali di destra, fautori (a parole) della “cultura della vita”, erano
troppo impegnati a magnificare la stoica resistenza del Cav. alla malattia o a
denigrare il governo Draghi sul Pnrr.
Per quanto riguarda le testate a maggior diffusione, va detto che “Il Corriere
della sera” ha correttamente titolato «Mai così pochi dall’Unità d’Italia» un
pezzo che però, ahinoi, stava in taglio basso. “Repubblica” ha inserito la
notizia nel catenaccio del titolo di apertura: «Il grande allarme: nel 2022 per la
prima volta nati meno di 400mila bambini», mentre “La Stampa” si è limitata a
«Come riempire la culle vuote», piccolo richiamo dell’analisi-commento della
sociologa Chiara Saraceno. Incredibilmente (lo dico conoscendo le idee della
direttrice Monica Maggioni) il Tg1 delle 20 ha speso pochi secondi sulla
notizia, affidata a una scarna comunicazione della conduttrice, senza nessun
servizio a seguire.
Va segnalato, in controtendenza, il tweet assai allarmato del sindaco di
Bergamo, Giorgio Gori, già uomo di Tv: «Le previsioni dicono che entro il
2100 perderemo quasi il 40% degli abitanti, con un boom di anziani e forza-
lavoro dimezzata. È incredibile che il governo non lo riconosca come il
problema N°1». Gori ha ragione, salvo che per un dettaglio: nessun governo,
compresi quelli di centro-sinistra, ha considerato la denatalità l’urgenza
prioritaria della propria agenda politica. E oggi non è certo Elly Schlein, tutta
concentrata com’è sulla difesa dei “diritti civili”, a individuarla come tale.
Resta il fatto che il corto-circuito mediatico-politico sulla questione denatalità
continua a far tenere all’opinione pubblica la testa sotto la sabbia. I dati sono
lì, e parlano (a patto di volerli leggere).
Il filosofo Roman Krznaric, nel suo libro The good ancestor (“Il buon
antenato”) propone un indicatore inedito, un Indice di solidarietà
intergenerazionale, che, integrando numerosi parametri (dall’impronta
ecologica al coefficiente di Gini), punta a misurare il grado di attenzione che i
diversi Paesi prestano, o meno, alle generazioni future. La domanda diventa:
alla luce di quanto sta accadendo, pensando al Paese che affideremo a figli e
nipoti, che pagella avrebbe l’Italia, in termini di solidarietà fra le generazioni?
Gerolamo Fazzini