Un secolo fa, Carl Schmitt, riprendendo Von Clausewitz secondo il quale la guerra non è che “la continuazione della politica con altri mezzi”, sentenziava che la guerra è l’essenza o il presupposto della politica. Schmitt riteneva la relazione tra guerra e politica come una sorta di circolarità con periodi di guerra a cui succedono fasi di soluzione pacifica dei conflitti.
Una visione del genere, condivisa peraltro da molti politologi che continuano a teorizzare la necessità dello scontro come elemento fondamentale di ogni relazione e in particolare di quella politica, quante macerie lascia sul campo?
E’ quello che vediamo in questi tristi giorni in Ucraina, con il sacrificio di migliaia di vite umane alla cinica necessità di costruire un nuovo equilibrio geopolitico per una presunta sicurezza nazionale.
Il secolo di Schmitt è stato caratterizzato da tragedie che hanno trovato innesco in guerre che hanno approfondito le fratture tra i popoli e hanno seminato rancori che sono poi esplosi drammaticamente.
Se la guerra è l’essenza e il presupposto della politica, obiettivo di quest’ultima non può che diventare l’eliminazione dell’avversario che diventa necessariamente un nemico da annientare. La pace è allora solo una parentesi in una situazione che non può che essere di guerra permanente.
Non mi ritrovo in questa visione e credo che i presupposti su cui è nata la nostra Repubblica e, pochi anni più tardi, quella che è poi diventata l’Unione Europea siano completamente diversi e trovino nella libertà, nella relazione tra persone e popoli e nel rispetto della persona umana fondamenti alternativi alla condizione di belligeranza perpetua che la dottrina della politica come scontro e potenza propone. In fin dei conti, quando parliamo di radici giudaico cristiane dell’Europa parliamo proprio di questo, ovvero della possibilità di porre a fondamento della nostra convivenza la ricerca dello Shalom o, per dirla, in chiave cristiana della pace che deriva dal riconoscimento dell’altro come inevitabile e necessario completamento della nostra vita.
In questi giorni di guerra ci stiamo rendendo conto che serve più Europa, più pensiero e più solidarietà. Quella che, per fortuna (o per grazia) stiamo dimostrando verso il popolo ucraino.
Qualcuno dirà che questi ragionamenti non servono a nulla di fronte ai missili di Putin; nell’immediato forse è vero, ma dobbiamo costruire un futuro che vada oltre questa drammatica e devastante guerra.
Fabio Pizzul