Dopo oltre un mese di guerra nel cuore dell’Europa, nel Pd si stanno articolando posizioni diverse rispetto all’invio di armi all’Ucraina e sul riarmo con l’impiego del 2% del pil in base a un accordo Nato del 2014 Le colonne d’Ercole invalicabili del dibattito sono la collocazione nella Nato, nell’Ue e la ferma condanna di Putin e dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma entro questo perimetro le coscienze soprattutto di chi proviene dall’associazionismo o è stato obiettore di coscienza al servizio militare in gioventù (ma semel obiector semper obiector era la regola) sono state profondamente scosse dal ritorno di un conflitto così brutale davanti alla porta di casa. Due importanti esponenti si sono esposti con posizioni diverse, Graziano Delrio e la viceministra degli Esteri Marina Sereni. In comune hanno la richiesta di accelerare il processo di politica estera comune europea, presupposto fondamentale per avviare una difesa europea comune che consentirebbe di spendere meno rafforzando la sicurezza dei 27.
Graziano Delrio ha assunto una posizione critica all’invio di armi e in Ucraina votando un si sofferto e poi ha detto no alla scelta del governo di aumentare del 2% del Pil la spesa militare. Lo ha fatto da pacifista pur ammettendo con sincerità che non si può negare il diritto di autodifesa di un popolo e non esiste un dovere di resa. Marina Sereni è invece convinta che gli impegni internazionali vadano onorati per accrescere la credibilità internazionale e perseguire le ambizioni pacifiche della politica estera nazionale, che vuole un’Europa unita che privilegia le armi della diplomazia e la cooperazione con i paesi terzi. Quindi si al 2% e contemporaneamente rilancio dell’impegno italiano di raggiungere entro il 2030 lo 0,7% del pil investito negli Aiuti per lo sviluppo. Perché la guerra ha oscurato i conflitti africani e mediorientali, i mutamenti climatici e i flussi migratori da questi generati. Ma questi non se ne sono andati e la questione della sicurezza europea e italiana dipende anche dall’aiuto che sapremo dare e alla cooperazione che sapremo avviare con l’Africa, macrocontinente del nostro destino.
Paolo Lambruschi