Fino a quando potremo accettare, nel XXI secolo, le violenze sulle donne?
Il 25 novembre ricorre la giornata internazionale per l’eliminazione di tale fenomeno, che non è più sporadico ed emergenziale, quanto persistente e strutturale.
Sarebbe opportuno che nel dibattito pubblico si usasse più spesso il plurale, ‘violenze’, perché di questo si tratta. Infatti ci troviamo di fronte a un universo composito di tipi e gradi di violenze: psicologiche, linguistiche, economiche, fisiche. Oltre al fatto che, ancora oggi (ahimè), alcune non sono percepite tali dalle stesse vittime.
Qualunque tentativo di arginare questi tipi di violenze necessita di un mix di interventi: legislativi, sociali, educativi. E forse non basta.
Quanto è importante crescere pensando all’altra come qualcosa di diverso da sé e non come chi é disposto sempre e comunque a soddisfare qualunque bisogno?
Quanto è importante strutturare percorsi permanenti di educazione all’affettività in cui imparare a codificare emozioni e sentimenti?
Quanto è importante ripensare ruoli e gerarchie in un contesto sociale, sempre più competitivo?
Sarebbe bello se tutte le iniziative di contrasto alle violenze sulle donne avessero l’obiettivo, primo e indiscusso, di tutelare la vita e i diritti delle vittime (spesso anche minori), riconosciute come persone portatrici di valore.
E infine, sarebbe auspicabile che qualunque azione in questo contesto fosse vista come una tappa del percorso più ampio volto a capire in che modo le relazioni tra il potere e l’autorevolezza aiutino ad integrare il femminile e il maschile presente in ciascuno di noi. Con uno stile attento a valorizzare le differenze e le sfumature, lontano da stereotipi e banalizzazioni quanto mai dannosi.
Chiara Tintori