Dai sit-in sulle strade extraurbane, alla vernice sui palazzi istituzionali e sulle opere d’arte (mai compromessi). Stiamo assistendo a gesti con una forte carica simbolica, che non possono essere liquidati con sole risposte repressive. Premesso che se ci sono responsabilità civili e penali è giusto far rispettare la legge, non possiamo limitarci ad assistere al ping pong di pro e contro gli atti di: sensibilizzazione, attivismo, esibizionismo, vandalismo, ecoterrorismo – queste le etichette ricorrenti – degli attivisti più radicali. Perché se schierarsi è immediato, il tempo consente qualche riflessione in più.
Assistiamo a gesti di indignazione per una disattenzione da parte dei decisori politici sulla crisi ambientale. Fino a qualche anno fa l’espressione più comune erano gli scioperi al venerdì, inaugurati da Greta Thunberg nel 2018. Ai Fridays for Future si sono aggiunti movimenti quali Just Stop Oil, Extinction Rebellion, Ultima Generazione. Questi affermano di aver “deciso di compiere azioni di disobbedienza civile non violenta”. Usano il linguaggio proprio di chi non viene ascoltato, perché non c’è più tempo. E su quest’ultimo aspetto non possiamo dargli torto. Tuttavia, l’esperienza storica della disobbedienza civile – da Ghandi a Martin Luter King – è sempre stata legata al rifiuto a obbedire a una legge. Nel nostro caso l’opposizione a una norma (ad esempio lo stop alle trivelle) è inserita in un dissenso più ampio, visto che gli attivisti esprimono disaccordo contro l’inazione delle istituzioni politiche.
Quali sono oggi gli strumenti più efficaci perché la voce degli attivisti ambientali giunga alle orecchie dei governanti? E questi non facciano finta di niente? Quando monta la frustrazione perché i negoziati mondiali sul clima (le COP) fanno girare a vuoto il multilateralismo, con impegni non vincolanti per gli Stati, che cosa si può fare? Che cosa manca ai movimenti sociali ambientali per essere seriamente incisivi e non dannosi? Come recuperare la strada di un confronto civile, efficace e immune dai “bla bla bla” ai quali ci siamo abituati?
Sarebbe bello che una politica affidabile dialoghi con i desideri e le frustrazioni di chi compie gesti di dissenso radicale, preferibilmente prima che questi continuino, con il fine di offrire insieme risposte coraggiose e innovative al “grido della terra e a quello dei poveri”. È tempo che l’offerta e la domanda politica sulla giustizia climatica e la lotta contro le diseguaglianze si incontrino.
Chiara Tintori