Oggi è scomparso l’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, protagonista assieme a Madiba Nelson Mandela dell’apparentemente impossibile processo di riconciliazione del Sud Africa dopo l’Apartheid.
Una figura carismatica, capace di scardinare pregiudizi e di abbattere muri che parevano incrollabili. Sposato, padre di quattro figli, Tutu è stato insignito del Premio Nobel per la Pace nel 1984.
Il suo grande merito, come presidente della “Truth and Reconciliation Commission” (TRC), che dal 1995 al 1998 si articolò in tre comitati (lo Human Rights Violations Committee, il Reparation and Rehabilitation Committee e l’Amnesty Committee) fu quello di creare e consolidare, attraverso il Promotion of National Unity and Reconciliation Act, una riconciliazione nazionale tra le parti nell’ottica di superare definitivamente il regime di segregazione e violenza che i bianchi avevano imposto al 90% della popolazione, soprattutto dal 1947 al 1991.
L’intuizione di Desmond Tutu fu quella di andare oltre la tentazione della vendetta per promuovere un percorso di giustizia “riparativa” che portò, attraverso drammatiche e intense sessioni di dialogo, a perdonare chi avesse confessato i propri crimini. A termine del percorso, l’amnistia fu concessa a 849 persone e negata a 5392.
Di questo processo, Tutu fu indubbio protagonista e portò così a ideale compimento il percorso guidato da Nelson Mandela.
Adolfo Ceretti, docente di criminologia dell’Università Milano Bicocca, ha approfondito il percorso della TRC sudafricana e, nel “Libro dell’Incontro” (2015, Saggiatore), scrive queste parole che ci aiutano a ricordare Tutu nel giorno della sua morte:
“Tutu, nel suo libro Non c’è futuro senza perdono, definisce l’ubuntu “un tratto fondamentale della visione africana del mondo”. In breve, l’espressione – molto difficile anche da “rendere” in una lingua occidentale – riguarda l’intima essenza dell’uomo. Quando un nero sudafricano vuole lodare grandemente qualcuno dice che “il tale ha ubuntu”. Significa che la persona in questione è generosa, accogliente, benevola, sollecita, compassionevole. Che condivide quello che ha. E’ come dire “la mia umanità è inestricabilmente collegata, esiste di pari passo con la tua”. (…) Una persona che ha ubuntu è aperta e disponibile verso gli altri, riconosce agli altri il loro valore, non si sente minacciata dal fatto che gli altri siano buoni e bravi, perché ha una giusta stima di sé che le deriva dalla coscienza di appartenere a un insieme più vasto, e quindi si sente sminuita quanto gli altri vengono sminuiti, umiliata quando gli altri vengono umiliati, quando gli altri vengono torturati e oppressi o trattati come se fossero inferiori a ciò che sono, o addirittura uccisi. Noi diciamo, scrive sempre Tutu, che “una persona è tale attraverso altre persone […]. Non ci concepiamo nei termini […] penso dunque sono, bensì sono umano perché appartengo, partecipo, condivido”.
G. Bertagna, A. Ceretti, C. Mazzucato, Il libro dell’incontro, Saggiatore 2015, pag. 249
Che mons. Desmond Tutu continui a regalare al Sud Africa e al mondo intero un po’ del suo ubuntu.