All’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso l’Università Cattolica era un ribollente centro di convergenza di una straordinaria quantità di esperienze e ispirazioni che risentivano del lavoro e della controversa qualificazione politico culturale di Padre Gemelli (prodigioso realizzatore, ma anche spregiudicato contaminatore di ideologie e correnti culturali), della scoperta di un cristianesimo interprete dei valori e dell’etica democratica fatta da personaggi come Dossetti, La Pira, Lazzati, Fanfani, della presenza di economisti moderni come Romani, impegnato nel riscoprire le radici della compatibilità tra solidarismo cattolico e efficienza produttiva, del successo della apertura agli studi universitari a giovani studenti di tutta Italia grazie a un innovativo ed efficientissimo sistema di borse di studio.
Tra questi giovani venne da Avellino, vincitore di concorso, Ciriaco De Mita che si laureò ben presto con il più bravo dei maestri di diritto privato, il mitico professor Barbero e, a quanto raccontava, era destinato, nelle speranze e secondo le insistenze del padre a fare carriera universitaria e professione in Lombardia. C’erano con lui, e con lui dividevano esperienze di collegio e di assistentato universitario Gerardo Bianco, Raffaele Crovi, Sisto Dalla Palma, i fratelli Prodi e qualche anno dopo fu raggiunto da un eccellente Enrico De Mita, il fratello minore. che avrebbe tenuto “il punto” di una brillante carriera accademica in scienza delle finanze. Il diligente rispetto delle regole della borsa di studio e il successo negli esami non riuscirono a cancellare in Ciriaco l’interesse e la passione della politica seminate nel cuore e nella testa del giovane di Nusco dalle letture giovanili dei grandi conterranei meridionalisti Dorso, Salvemini, don Sturzo.
Il 1953 con la crisi della politica centrista della DC, che si trovò a dover scegliere tra alleanze a destra o a sinistra per poter governare, l’accendersi di un grande dibattito su questo tema in una città in cui le contrapposizioni politiche coinvolgevano importanti interessi economici e sociali, la vicinanza al mondo della Cattolica di gente impegnata nella DC (la sinistra di Base, nata appunto a Milano in quegli anni) furono determinanti: la scelta fu per l’impegno politico. E qui emerse, di questo impegno, una caratteristica che sarebbe rimasta costante in De Mita: il collegamento con la realtà dei problemi, la politica come risposta a problemi reali, il collegamento con la gente e con il territorio e con l’espressione istituzionale dell’una e dell’altro.
Il giovane che aveva avuto successo accademico e professionale a Milano sentì come richiamo della politica il ritorno da dove era venuto, la scelta di vedere i problemi del Paese e della società in generale dal punto di vista della cultura di origine. E frutto della tenacia con cui perseguì questo disegno è in qualche modo esistenzialmente manifestata nel fatto che fino all’ultimo è stato, sindaco, nelle istituzioni e impegnato nello sforzo di conquistare consensi alla propria visione del mondo partendo dai dati specifici della sua cultura di origine. Questo atteggiamento ci aiuta anche a capire la complessità che era propria delle sue analisi e dei suoi ragionamenti e, insieme, la costanza con cui rimase agganciato al ruolo della politica e del “suo” ruolo nella politica. Fu coerente con la vocazione che qui si è cercato di descrivere anche nei momenti di difficoltà, nella guida di una DC che si avviava a pagare il prezzo più alto, tra i partiti del secolo scorso, del cambiamento dei rapporti tra la gente e le istituzioni. E, personalmente, faticò a tenere il passo con i cambiamenti del mondo, della informazione quello in cui si era maggiormente impegnato lungo tutta la sua esperienza.
Le sue articolate e puntigliose analisi sono sembrate a volte in contrasto con la rapidità delle sintesi e delle semplificazioni digitali, ma quello che non è mai venuto è stato il rispetto per la moralità dell’uomo, la instancabile disponibilità a rendere conto delle sue scelte. Il rispetto e la commozione con cui è stata è stata accolta la notizia della sua morte, l’interesse con cui vengono ripercorse le diverse fasi della sua esperienza sono i segni di un congedo che lo raccomanda alla memoria di chi, d’accordo o no, ne ha conosciuto il lungo e laborioso impegno.
Mario Mauri