Anche in questo agosto di campagna elettorale, il Meeting di Rimini per una settimana è stato il crocevia della politica italiana. Per provare a capire l’aria che tira, al di là del racconto dei media, mi sono concesso una giornata riminese, senza annunciare all’organizzazione la mia presenza, con l’idea di ascoltare e provare a capire gli umori di quello che si autodefinisce “popolo di don Giussani”.
Come mi era già capitato anni addietro, ho visto due meeting, per così dire, paralleli: quello a favore di telecamere, con tempi e linguaggi prettamente televisivi, e quello delle mostre, della folla lungo i corridori, dei punti di ristoro e degli incontri meno politici. Due correnti parallele che si alimentano a vicenda, ma che non sempre risultano sovrapponibili dal punto di vista della lettura sociale e politica.
Il “popolo del Meeting” quest’anno ha voluto celebrare con enfasi i 100 anni della nascita di don Giussani, tentando di andare alla ricerca dell’ispirazione originaria, che non è facile incarnare in un oggi complicato e difficile da interpretare. Si cercano anche, attraverso diverse mostre, altre figure da indicare come riferimento, quasi a voler allargare il respiro di un movimento che ha spesso rischiato l’autoreferenzialità. Al Meeting si coglie la bellezza dell’incontro tra amici di vecchia data, forse un po’ smarriti dalle confuse evoluzioni individualistiche della società contemporanea e con tante domande aperte sul futuro.
Quando si accendono le telecamere e i riflettori entrano in gioco altre dinamiche, in cui si coglie l’azione della Compagni delle Opere e la struttura organizzativa ormai rodata del Meeting, che raccolgono sponsor e garantiscono loro adeguata visibilità mediatica. Tutto questo diventa palcoscenico di fine estate per politici che paiono così essere sottoposti al giudizio del popolo di cui prima.
In realtà, ascoltando gli interventi dei 5 eventi a cui ho partecipato e scambiando quattro chiacchiere dopo aver perso in poco tempo il mio anonimato, non ho notato una chiara scelta di campo da parte di popolo e organizzatori. Con buona pace dell’applausometro che i diversi media hanno utilizzato per ipotizzare il sostegno a Meloni piuttosto che a Draghi.
La sensazione che mi ha lasciato la visita al Meeting è quella di una grande preoccupazione per un autunno che economicamente si annuncia molto complicato, il rimpianto per un governo Draghi che veniva considerato un’assicurazione sulla vita del Paese e una sostanziate indifferenza nei confronti di chi potrà governare, purché mantenga un saldo riferimento all’Europa e non sprechi i soldi del PNRR.
Non siamo più di fronte ai chiari endorsment politici dei Meeting degli anni ruggenti, ma si può anche leggere un implicito via libera per chi gode di tutti i favori dei sondaggi e delle previsioni elettorali. Senza scomuniche e senza promesse di fedeltà particolari.
Fabio Pizzul
P.S.
Il “popolo del Meeting” a chiamata, comunque, risponde: ad ogni angolo della Fiera si raccoglievano contributi per la manifestazione e il contatore in tempo reale, al tramonto dell’ultimo giorno ha superato i 200.000 euro.
Preoccupante l’apparente alto consenso a Meloni…!!!