Il 2 giugno a Peschiera del Garda e su un treno regionale che viaggiava da quella località verso Milano gruppi di ragazzi si sono resi protagonisti di episodi di violenza urbana e di intimidazione nei confronti di coetanee che sono riuscite a fatica a sottrarsi a reiterate molestie. Si tratta di situazioni inaccettabili: l’arroganza e la prepotenza di un gruppo non può mettere a repentaglio l’incolumità di altre persone che hanno la sola colpa di essere capitate nel luogo in cui questi ragazzi hanno deciso di sfogare il loro istinto aggressivo e violento.
Nel commentare l’accaduto, non sono mancate le solite dichiarazioni di chi vuole immediatamente proporsi come titolare della soluzione ad ogni problema. La ricetta è sempre la stessa: tolleranza zero, inasprimento delle pene e punizioni esemplari.
Le regole vanno rispettate e fatte rispettare, questo non si discute, ma che cosa significa promettere “tolleranza zero”?
Forse che, in altri casi o di fronte ad altri protagonisti il non rispetto delle regole può essere tollerato o addirittura giustificato?
O forse che il problema è solo quello di individuare un nemico da colpire e, se possibile, da neutralizzare per tutelare “i nostri” di fronte all’aggressione degli “altri”?
O forse, ancora, che l’unica soluzione può essere l’allontanamento, il confinamento (in cella) o la (impossibile) eliminazione del nemico?
In tutti questi casi non risulta per nulla chiaro che cosa significhi “tolleranza zero”, se non la necessità di mostrarsi determinati e certi di risolvere un problema che, in realtà, rimarrà tale e quale e consentirà di nuovo di proclamarsi come fautori della “tolleranza zero”.
Quanto accaduto non è giustificabile, richiede però la fatica di capire perché un gruppo di adolescenti, stranieri di seconda generazione, sentano il bisogno di esprimersi in questo modo, arrivando persino a usare espressioni del tipo “questa è Africa” o “su questo treno non c’è posto per le bianche”.
Dare multe esemplari o pensare ad provvedimenti afflittivi è necessario se sono state violate norme o commessi reati, ma non può diventare l’unico modo per affrontare la questione.
Non si fa certo dall’oggi al domani, ma bisogna chiedersi come costruire una relazione con questi adolescenti e come far sì che il loro unico modo di esprimersi non sia la violenza, urlata o esercitata contro gli altri. L’unica cosa che non possiamo davvero tollerare è che questi ragazzi vengano considerati come nemici: si contrastano e reprimono i comportamenti fuori dalle regole, non le persone.
Per evitare che servano poliziotti antisommossa o agenti di polizia penitenziaria, servono educatori di strada, mediatori culturali, allenatori, insegnanti…
Fabio Pizzul