Succede sempre più spesso che quando nasciamo siamo tutti belli e quando moriamo siamo tutti bravi.
La morte di Silvio Berlusconi non si sottrae a questa regola. Le condoglianze per la sua famiglia e il rispetto per un uomo che ha attraversato la storia degli ultimi 40 anni di vita italiana, non sono in discussione e ad essi ci associamo, ma è bene non limitarsi a questo.
Abbiamo imparato che la memoria degli italiani è molto labile, ecco perchè sarebbe importante evitare un processo di beatificazione per un uomo, Silvio Berlusconi, che ha responsabilità politiche chiare e precise. Ne individuo (almeno) tre, con una premessa. Non ho conosciuto di persona Silvio Berlusconi, quindi le considerazioni che seguono sono frutto dell’osservazione e dello studio politico.
Prima. È stato il precursore del populismo, in versione italiana. Da leader vittorioso si è considerato unico rappresentante dell’intero Paese, dimenticando che la maggioranza parlamentare non è il popolo intero. Con lui governare è diventato sinonimo di comandare, e nella sua politica degli eccessi, delle semplificazioni arroganti e degli strafalcioni politici abbiamo avuto evidente tracce di mancanza del senso dello Stato e del bene comune. Quante volte ha provato a manipolare la Carta Costituzionale, animato da quello spirito del monarca, come fosse investito del potere carismatico “dall’alto”? È un caso che molte delle leggi approvate durante i suoi governi si siano rivelate anticostituzionali? Ha recitato la parte del perseguitato dalla giustizia, ha fondato un’azienda per fare politica (Forza Italia), ha decapitato (metaforicamente) chiunque volesse succedergli e chiunque non fosse degno del migliore yesmen. Con Silvio Berlusconi, monopolista di fatto della televisione privata, la politica populista si è fatta spettacolo, i talk show hanno snaturato i dibattiti politici. Individuare un nemico ad ogni costo è stato il ritornello preferito della sua azione politica.
Seconda considerazione. Il dominio dell’io sul noi e sul senso di comunità. L’io ipertrofico di Silvio Berlusconi, senza vincoli di bilancio, ha trasmesso che ognuno sarebbe potuto diventare come lui, capace di comprare chiunque, di rendere gli altri – dalle donne ai parlamentari – suoi clienti. La sua azione non ha conosciuto vincoli e regole secondo una visione ultra liberista non solo dell’economia, ma anche delle relazioni sociali e politiche. È riuscito a privatizzare lo spazio pubblico proiettandoci la propria soggettività e dunque banalizzandolo. Nella logica delle compravendite il potere è divenuto strumento al servizio di sé e del potente come di qualcuno posto al di sopra delle regole, legittimato a mutarle a proprio uso e consumo. “L’uomo che voleva comprare lo Stato”, lo definì Umberto Bossi.
Infine, la terza responsabilità politica di Silvio Berlusconi è stata di aver sdoganato i post fascisti e, prima ancora, di aver fatto da trampolino di lancio alla Lega che, senza di lui, sarebbe rimasta abbarbicata agli slogan della prima ora, da “Roma ladrona” alla secessione della Padania. Senza di lui Alleanza Nazionale, guidata da Gianfranco Fini non sarebbe entrata nella stanza dei bottoni, e Giorgia Meloni ora non guiderebbe un governo repubblicano animato dalla vendetta dei vinti (quelli del 1945).
Con tutto questo, dalla fine del 1993 la politica italiana si è avvinghiata a Berlusconi, cosicché chi voleva indebolirlo ha finito per monumentalizzarlo. Abbiamo avuto quattro governi Berlusconi e poco più di un anno fa si era candidato alla Presidenza della Repubblica, nell’imbarazzo generale pure dei suoi.
È tempo di aumentare i nostri anticorpi democratici, perché il berlusconismo – fatto di populismo, individualismo e desiderio di vendetta – non perduri troppo, oltre alla fine naturale del suo fondatore.
Chiara Tintori