Che una beatificazione sia un evento sempre significativo per la Chiesa universale e, soprattutto, per quella locale è evidente, ma che lo possa essere anche la società lo è meno. Eppure, per quanto riguarda gli ultimi due, recentissimi, beati ambrosiani, Armida Barelli e don Mario Ciceri – divenuti tali con la solenne celebrazione in Duomo del 30 aprile scorso -, la rilevanza sociale esiste. Come ha dimostrato l’inaugurazione, presso il “Pirellone”, luogo per eccellenza laico e istituzionale, della mostra “Con cuore di donna”, dedicata alla Barelli, assai più nota di Ciceri, quale cofondatrice dell’Università Cattolica, della Gioventù femminile di Azione Cattolica, dell’Istituto di consacrazione laicale delle Missionarie della Regalità. E proprio in questa sua attenzione mirata a creare un profilo di donne capaci e desiderose di essere protagoniste della società risiede il lascito più importante e attuale della Barelli. Senza volerne fare una femminista “ante litteram” – cosa evidentemente poco logica – la “Sorella maggiore” come era chiamata appunto per la sua autorevolezza, fu, infatti, un punto di riferimento che trovò nella città di Milano e nella Chiesa ambrosiana tra gli anni ’20 e ’50 un humus molto favorevole. Forse solo nel capoluogo lombardo si poteva immaginare un’Università in grado di formare un nuovo tipo di laureati competenti scientificamente e consapevoli cristianamente. Laureati, ma soprattutto laureate se solo si pensa che ben oltre l’avvio della Repubblica, la “Cattolica” rimase l’Ateneo con maggiore presenza femminile. Senza dimenticare ciò che la beata fece per portare al voto le donne nel dopoguerra. Diceva “spose e non serve; locomotive e non dei vagoncini a rimorchio”: la Milano e l’Italia di oggi con tante sue “sorelle minori” nelle professioni e nelle istituzioni – dove pure rimane ancora molto da fare per la parità -, non possono che ringraziarla. Così come don Mario Ciceri con la sua semplicità vissuta in un piccolo paese della Brianza, Sulbiate. Niente di eroico, di straordinario: solo un prete sempre in oratorio, convinto che educare i giovani fosse l’unica strada per migliorare il futuro. Che sia stato anche “ribelle per amore” – aiutando la resistenza – lo sanno in pochi, ma è bello pensare che la ordinarietà del bene alla fine vince sempre banalità del male e che lo spirito ambrosiano sia stato e resti quello di fare qualcosa per il bene comune (e di farlo bene), con la schiena dritta lavorando perché tutti possano vivere in maniera dignitosa, consapevole e libera.
Annamaria Braccini