Le recenti elezioni amministrative – come sappiamo – hanno fatto registrare un dato inquietante: gli astensionisti nel primo turno delle amministrative nelle 4 maggiori città italiane hanno infatti toccato quota 52%, oltre la metà degli aventi diritto.
Secondo uno studio di OpenPolis “al primo turno, hanno votato meno della metà dei romani (48,54%), dei milanesi (47,72%), dei napoletani (47,17%) e dei torinesi (48,08%). La quota è scesa ulteriormente nei comuni andati al ballottaggio, attestandosi al 42% degli aventi diritto a Torino e addirittura al 40,7% a Roma”.
LINK https://www.openpolis.it/quanto-e-cresciuto-lastensionismo-nelle-4-maggiori-citta-italiane/
I dati sono particolarmente preoccupanti, soprattutto se letti seguendo il trend storico di medio periodo. Ancora OpenPolis: “Dal ’93 a oggi i votanti al primo turno delle amministrative sono scesi del 41% nelle 4 maggiori città. In termini assoluti parliamo quindi di 1,6 milioni di votanti in meno nel trentennio compreso tra il 1993 e il 2021. Nel periodo considerato, Roma da sola ha “perso” 679mila votanti (con l’affluenza scesa dal 78,7% al 48,5%), Milano 442mila (dal 78,1% al 47,7%), Napoli quasi 223mila (dal 67% al 47,2%), Torino oltre 300mila (dal 77,1% al 48,1%)”.
Non voglio tediare il lettore con troppe cifre. Ma qualche numero per inquadrare il problema è assolutamente necessario, non foss’altro che per avere la percezione corretta della portata di un fenomeno che, purtroppo, non mi pare stia ricevendo l’attenzione che meriterebbe. Ora: stiamo parlando di amministrative, in teoria elezioni nelle quali il rapporto fra cittadino e candidato dovrebbe essere più stretto e, dunque, almeno in teoria, decisamente più alto il tasso di coinvolgimento dell’elettorato nell’esprimere le sue opzioni politiche.
Se così non è, c’è da chiedersi come mai accada tutto questo. Lascio volentieri ai politologi spiegazioni più sofisticate. Io mi accontenterei qui di porre a noi giornalisti la fatidica domanda: in che misura è anche colpa nostra? Detto altrimenti: c’è una responsabilità ascrivibile alla qualità (o meno) dell’informazione in relazione al calo di passione politica che i dati indicati mostrano con chiarezza?
A mio avviso sì. Credo che, come giornalisti, dobbiamo confessare un peccato di omissione: non aver offerto adeguati strumenti al cittadino per valutare l’operato dei politici in carica e, insieme, informazioni essenziali e chiare utili a decifrare i programmi delle varie coalizioni e “pesare” l’affidabilità dei candidati chiamati a tradurli in pratica. Se tanti non sono andati a votare sarà stato, probabilmente, anche per una reazione alla situazione politica nazionale, sarà una forma di protesta contro Draghi e ciò che egli rappresenta, sarà per esprimere il disagio per la realtà attuale, segnata pesantemente dal Covid… Ma, oltre a questo – mi domando – non sarà anche perché tanti e tante – pensando alla fatidica croce da apporre sulla scheda elettorale – si sono sottratti a questo diritto-dovere civico fondamentale perché attanagliati dalla sensazione di non sapere chi meritasse di ricevere la fiducia dei cittadini?
Penso a tanti servizi dei Tg visti e ascoltati in questi mesi e mi chiedo: quanto ci hanno aiutati a comprendere la vera importanza della posta politica in gioco, andando nel merito delle questioni, e quanto invece, purtroppo, si sono limitati ad essere una continua passerella di dichiarazioni-slogan, di interventi tanto apodittici nei toni quanto generici nel contenuto?
Prevedo l’obiezione: i tempi di un servizio Tg (o la lunghezza di un pezzo di quotidiano) non permettono di approfondire troppo, la semplificazione è un’esigenza imprescindibile. E poi la polemica fa audience, vuoi mettere con la presentazione asettica di un bilancio comunale? C’è una parte di verità, in tutto questo. Ma, ancora una volta, mi domando: se, come giornalisti, ci interessa che il nostro pubblico non solo metta dei like a quanto andiamo raccontando sui social ma partecipi effettivamente alla vita politica, davvero non c’è niente di più e di meglio da fare? Se ci limitiamo a concepire il giornalismo come un esercizio notarile, allora la questione non si pone. Se, invece, ha ragione il Papa quando ci ricorda che «al giornalismo, si arriva non tanto scegliendo un mestiere, quanto lanciandosi in una missione»
significa che il rapporto tra l’operatore dei media e il suo pubblico non può certo limitarsi alla relazione fornitore-cliente.
Detto ciò, non ho risposte sicure né tantomeno ricette preconfezionate da offrire. E tuttavia un sospetto mi assilla: che ci sia ancora qualcosa da tentare e molto da innovare sul versante dei linguaggi. Se uno naviga sul Web oggi, si imbatte in una moltitudine di format sorprendenti: dai meme ai tutorial, dai Ted a video (anche artigianali) di notevole efficacia. In altre parole, se si utilizzano creatività e capacità di osare piste mai battute i risultati possono essere interessanti.
Una giovane, Norma Cerletti, sta spopolando su Tik Tok con le sue lezioni di inglese “alternative”.
Una ragazza, Feroza Aziz, s’è inventata un tutorial per spiegare come usare il tiraciglia e, nel frattempo, ha diffuso preziose notizie sulla situazione degli uiguri, minoranza musulmana e turcofona perseguitata in Cina.
Forse, come si diceva nel ’68, è davvero tempo di mettere la fantasia al potere per provare a raggiungere il largo pubblico e avvicinarlo a temi ostici e apparentemente di scarso appeal come la politica.
Ultima considerazione. Temo che molti elettori non si siano recati alle urne perché convinti che il loro voto fosse inutile. Bombardate da un’informazione appiattita sul racconto di ciò che non funziona, tante persone appaiono sfiduciate e rinunciano, di conseguenza, anche solo a provare se esista una possibile alternativa. Anche qui trovo utile il recente richiamo di papa Francesco ai giornalisti, quando ci invita a «far sì che chi vi abita (nel mondo) ne abbia meno paura e guardi gli altri con maggiore consapevolezza, e anche con più fiducia». La questione è a dir poco decisiva. Se è vero che, come attestano numerose ricerche, nel primo periodo del lockdown è molto cresciuta la domanda di informazione, ora la credibilità dei giornalisti, almeno in Italia, pare aver toccato un punto molto basso.
Non solo. In ordine al futuro della convivenza civile, a chi scrive pare che i media debbano offrire un apporto maggiormente costruttivo, tale da alimentare la fiducia negli altri, nel futuro e, persino, nella possibilità che la politica serva a cambiare in meglio le cose. Ciò non significa affatto adottare una lettura edulcorata dei fatti, bensì proporre un racconto della realtà che, sebbene in chiaroscuro, non condanni fatalmente il pubblico al pessimismo e alla rassegnazione, ma, al contrario, aiuti a liberare energie positive della collettività.
Già vedo qualche mano alzata: da sempre «only bad news are good news», il male “tira” più del bene e così via… Siamo proprio sicuri che questo mantra debba risuonare all’infinito? Io qualche segnale in controtendenza lo vedo: all’estero sono molti i libri ormai (e pure le iniziative sul campo) relativi a giornalismo costruttivo, solution journalism e via di questo passo. Ma stiamo pure in Italia: mi limito a una citazione significativa. Anna Masera, che, in veste di “public editor” ha tenuto il filo diretto per anni con i lettori della “Stampa”, ha scritto il 17 ottobre scorso, nel suo saluto di addio: «Il pubblico chiede più giornalismo di servizio e meno di opinione. Dai podcast ai documentari alle newsletter, dal data-journalism al fact-checking, piace il giornalismo esplicativo e costruttivo. Un giornalismo che vada oltre gli allarmi e aiuti a trovare le soluzioni, la luce in fondo al tunnel».
LINK https://www.lastampa.it/rubriche/public-editor/2021/10/19/news/un-saluto-ai-lettori-1.40820998/
Forse potremmo contribuire a restituire credibilità alla politica e risollevare, almeno un po’, la passione per l’impegno civico se, con onestà intellettuale e non per partigianeria, provassimo a raccontare, in modo meno episodico di quanto avvenga oggi, anche quel che di buono combinano i nostri sindaci, i nostri assessori, i nostri consiglieri comunali.
GEROLAMO FAZZINI
Docente a contratto di Media e Informazione
all’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Brescia)