Tutto sarà, tranne che un Mattarella bis. La settimana di auspici vani, nomi bruciati e leadership smentite dai fatti apre un nuovo mandato che molto poco ha a che vedere con il precedente. Perché scaturisce da una situazione completamente diversa da quella del 2015, da un così tanto volere e un così poco potere di chi era chiamato a fare sintesi che non potrà esaurirsi nel rinvio a tempi migliori a cui siamo abituati.
In teoria, i tempi migliori erano adesso. Perché l’esperienza, pur faticosa, di un governo nato tecnico ma ogni giorno sempre più politico poteva e doveva essere la premessa per riavvicinare le istituzioni a una società che mai come in questa fase post pandemica ha le idee chiare su ciò di cui c’è bisogno. Con tutti i naturali distinguo del caso.
Ci vorranno mesi per tradurre in intenzioni di voto la debacle quasi collettiva di buona parte dei leader politici. Ma l’effetto della sbandierata vittoria di tutti è uno scenario da tabula rasa in cui tutto può succedere. Una manifesta inadeguatezza da cui è difficile chiamarsi fuori ma che rappresenta la base di quelle “condizioni che impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati”, evocate dal Presidente, in cui addirittura la pandemia esce ridimensionata.
Oggi si brinda alla continuità assicurata dal tandem Mattarella-Draghi. Una continuità di forma, senz’altro di stile, ma non di sostanza.
Si riparte dalle “attese e speranze dei nostri concittadini” che mai come ora vedono la pancia andare d’accordo con la testa. Il mandato che il Presidente si è subito cucito addosso è un programma tutto da scrivere, e ben diverso da quello visto finora.
Marco Ferrando