Il vangelo proposto oggi dalla liturgia ambrosiana riporta un monito perentorio: “Non giudicate e non sarete giudicati”. Ma che cosa significa nella pratica? Forse che nessuno può permettersi di giudicare il comportamento degli altri? E’ questo che chiede il Vangelo?
Nel dibattito pubblico si sente spesso liquidare come moralista chi tenta di proporre qualche riflessione sul comportamento di uomini politici o personaggi pubblici in genere. Quasi a dire che non è opportuno giudicare gli altri sulla base del loro comportamento: le scelte personali devono essere rispettate e non possono diventare in alcun modo oggetto di dibattito e men che meno finire sotto la scure di un qualsiasi giudizio. Nel privato ciascuno fa ciò che vuole e nessuno può arrogarsi il diritto di giudicare il suo comportamento. Tornando all’accusa di moralismo, mi pare interessante approfondirne il significato: viene definito come la tendenza ad attribuire prevalente o esclusiva importanza ad astratte considerazioni di ordine morale. Se questa definizione è corretta, il moralista è colui che si limita a indicare astrattamente la necessità di comportarsi in un modo piuttosto che in un altro e non dà alcuna importanza all’agire pratico e ai comportamenti che possono o meno corrispondere a quelle indicazioni. C’è, allora, qualcosa che non torna: giudicare un comportamento pratico non coincide con l’astrattezza del moralismo, ne dovrebbe piuttosto rappresentare l’esatto contrario, ovvero la propensione a non limitarsi ad affermazioni di principio e scendere nella concretezza dei comportamenti. Dietro l’accusa di moralismo c’è forse il tentativo di delegittimare qualsiasi possibilità di formulare un giudizio sui comportamenti delle persone e sulla utilità sociale degli stessi. Da parte di alcuni politici parrebbe addirittura esserci la studiata ostentazione di comportamenti personali sprezzanti e spregiudicati, quasi a voler allontanare da sé anche solo l’ombra del presunto moralismo. Il rischio è che però così ci si incammini su una china pericolosa che porta a considerare indifferenti i comportamenti personali e a giustificare qualsiasi atteggiamento, in nome di una libertà che è inviolabile ed è superiore anche alle regole condivise e all’utilità sociale delle stesse. Siamo proprio certi che, soprattutto quando si ha a che fare con personaggi pubblici con ruoli istituzionali, il giudizio sui comportamenti personali sia così irrilevante?
Propongo una possibile risposta, che non credo contraddica il Vangelo di oggi: non si può essere indifferenti e il rispetto delle persone non passa dalla necessità di non dire nulla sui loro comportamenti.
Cosa ne pensate?