Il successo planetario della Prima della Scala, con una Milano al centro dell’attenzione politica e mediatica e capace di proporre il suo volto scintillante, dopo gli anni della pandemia, rende ancora più attuale la domanda che ha accompagnato il Discorso alla città dell’Arcivescovo mons. Delpini: “e gli altri?”.
Durante i primi vespri della solennità del santo patrono, il successore di Ambrogio ha usato parole nette per invitare ad andare oltre la paura, a vivere la sana inquietudine di chi non nasconde i problemi e si pone la questione di un sistema di vita che pretende il proprio benessere a spese di risorse altrui. L’Arcivescovo ha elogiato la città che fa spazio all’innovazione e all’eccellenza, ma ha chiesto con chiarezza dove troveranno casa le famiglie del futuro o coloro che devono lavorare, studiare o invecchiare.
L’inquietudine non può essere negata, ma non può neppure trasformarsi in disperazione, perché Dio opera nella storia e la sua provvidenza è promessa di vita. Delpini ha però ricordato come il realismo speranza debba partire dalla capacità di “smascherare l’illusione dell’individualismo, forse la radice più profonda dell’infelicità del nostro tempo”. E non basta fare appello alla solidarietà, pur decisiva, perché è principio di organizzazione sociale che “consente ai diversi di diventare uguali”, secondo l’Arcivescovo, è necessario fare spazio alla fraternità, che “consente agli eguali di essere diversi, cioè unici e irripetibili”. Proprio in questo passaggio trova forza l’azione educativa il prendersi cura dei più fragili, la capacità di promuovere il dialogo contro ogni disastrosa esperienza di rapina e saccheggio dei territori, fino al dramma della guerra.
L’elogio dei politici con cui mons. Delpini ha voluto concludere il suo discorso, mi pare diventi, allora, la richiesta di una politica che si prenda cura del bene comune e di chi è più fragile e bisognoso, si apra al dialogo con la società e promuova una sana mediazione dei diversi interessi. Parole che più che tessere un reale elogio dell’esistente mi pare indichino un compito difficile per tanti politici (me compreso) propensi a pensare al proprio consenso più che alla necessità di rispondere alla domanda “e gli altri?”.
Fabio Pizzul