C’è un giornalismo che si occupa dei Grandi della terra e delle star (del cinema, del calcio e via di questo passo), un giornalismo che insiste prevalentemente sulla denuncia, insegue scoop, predilige il sensazionalismo. Ce n’è un altro che si è preso a cuore gli ultimi, li ascolta e cerca di dar loro rappresentanza. Un giornalismo che alza la voce contro le guerre, contro gli scandali dell’ingiustizia, di una “economia che uccide”, di un ambiente continuamente calpestato in nome del profitto. Un giornalismo che preferisce non urlare, che, sottovoce, prova a documentare, a spiegare, a gettare luce sull’«altrove»: su popoli, culture, Paesi dei quali l’informazione mainstream ritiene sia poco interessante (e remunerativo) occuparsi.
Un effetto collaterale del modus operandi di certa stampa e Tv è l’inquinamento progressivo del dibattito pubblico, la trasformazione dei destinatari in tifosi, la progressiva polarizzazione delle posizioni. Risultato: l’infosfera è zeppa di fake news, attacchi personali, critiche tutt’altro che costruttive. Il che ha tolto, via via, molta credibilità al giornalismo stesso e ai suoi operatori. Chi, invece, ha scelto un’informazione misurata e partecipe si preoccupa di rispettare anzitutto coloro di cui narra, così come i suoi destinatari (lettori, utenti del Web ecc.). Lo chiamiamo “giornalismo civile” perché mette al centro non l’utente-cliente, ma il cittadino, la sua dignità e la sua responsabilità. (Già: informarsi è un diritto, ma è anche un dovere: se – ad esempio – so poco o nulla della politica estera di un partito o di un leader come farò a votare con coscienza?).
Penso che, al netto di errori e limiti (ma chi non ne ha?), si possa inserire a pieno titolo il mensile del Pime “Mondo e Missione”, che da poco ha festeggiato i 150 anni di vita, nell’ambito del “giornalismo civile”. Per alcuni anni ne sono stato direttore editoriale (primo laico nella lunga avventura della testata) e mi onoro di aver fatto un tratto di cammino con colleghi/e preparati/e e con molti missionari di cui conservo un bel ricordo, su tutti il grande padre Piero Gheddo.
Si potesse tracciare un “bilancio sociale” di questo secolo e mezzo di storia, andrebbe detto che il tanto inchiostro versato ha prodotto in molte persone, alle più diverse latitudini, una consapevolezza più matura del mondo e delle sfide per la missione, ha abbattuto stereotipi, creato ponti, generato amicizia fra Nord e Sud del mondo. E, infine, interpellato le vite di tanti, contribuito a orientare cammini, a indirizzare scelte definitive nella direzione del Vangelo. In una parola: anche grazie agli stimoli e alle testimonianze di “Mondo e Missione” tanti e tante hanno lasciato il mondo migliore di come l’avevano trovato. Del resto, non conosco programma più ambizioso e fecondo del trinomio “conoscere, condividere, cambiare”: se un giornale riesce, almeno parzialmente, a realizzarlo l’investimento in uomini e risorse non è vano. Anzi.
GEROLAMO FAZZINI